Ennio Montagnani
C'è un nuova variabile che potrebbe consigliare i risparmiatori italiani, soprattutto se hanno puntato su Btp e fondi obbligazionari a lungo termine, a iniziare a ridisegnare i propri investimenti: il rialzo dei tassi. Non stiamo parlando di quelli a «breve» fissati dalla Bce e centrali per le banche, ma di quelli a «medio-lungo» termine determinati dai movimenti dei portafogli dei grandi investitori internazionali. Ebbene questi ultimi nell'ultimo mese, con un'accelerazione la scorsa settimana dopo la vittoria di Trump negli Usa, sono cresciuti. Tanto che il Btp decennale è tornato a un rendimento del 2%, come nel 2015. Tutto questo costituisce anche una spia di allarme per i piccoli investitori.
Dal 7 ottobre (quando è stato collocato il primo Btp a 50 anni) all'11 novembre, i rendimenti dei titoli di Stato italiani (come quelli della maggior parte dei governativi europei) sono infatti saliti dello 0,3-0,6% ma i prezzi sono scesi. Perché? Facciamo un esempio. Il Btp 1.11.2021 paga una cedola annua di 0,35 euro e un mese fa quotava 99,65 euro: a quel prezzo, visto che a scadenza restituirà 100 euro di nominale, rendeva lo 0,42% l'anno. Venerdì il tasso dei Btp a 5 anni ha toccato lo 0,86%, in pratica i Btp di futura emissione pagheranno lo 0,86%: dato che in Borsa non possono esserci titoli di uguale scadenza con rendimenti diversi il prezzo dei «vecchi» Btp è sceso a 97,55 euro, in modo che il rendimento complessivo (cedola annua di 0,35 euro e 100 euro di capitale a scadenza) sia pari allo 0,86% dei nuovi.
Allo stesso modo sarebbe uno sbaglio trascurare quanto già accaduto, pur con il mini rialzo dei tassi. Infatti, tanto più la scadenza del titolo è lontana tanto più il suo prezzo è «sensibile»: per esempio il Btp 1.11.2021 (scadenza tra 5 anni) ha visto salire il tasso di interesse dello 0,44% mentre il suo prezzo è sceso del 2,1% mentre il Btp 1.11.2026 a fronte di un tasso aumentato dello 0,57% ha lasciato sul terreno il 4,6% e il Btp 1.8.2036 ha visto aumentare il tasso dello 0,62% e il suo prezzo perdere il 9,3%.
La politica di Trump dovrebbe infatti far aumentare la spesa americana e quindi l'inflazione, in parallelo cresceranno le emissioni di Treasury Usa (per finanziare il deficit) e quindi i rendimenti. Così come in Europa i tassi possono in prospettiva solo salire, visto che ora restano vicini a zero (in Italia molto al di sotto dei precedenti minimi storici) grazie al quantitative easing della Bce. Che fare allora?
La via maestra resta affidarsi a un buon consulente finanziario con il quale impostare una soluzione di investimento personalizzata a medio-lungo termine. Chi, invece, predilige il fai-da-te può adottare alcuni accorgimenti per mitigare i rischi. In primis diversificare il portafoglio obbligazionario a livello valutario almeno per un 30% (ma si può arrivare al 50%), privilegiando il dollaro Usa, il franco svizzero, la corona norvegese e il dollaro australiano. Meglio poi puntare su titoli, Etf e fondi obbligazionari specializzati sulle emissioni a tasso variabile che sono meno sensibili agli aumenti dei tassi di mercato. Poi si può destinare un 20% a Etf e fondi inflation linked che consentono di guadagnare nel caso in cui (come tutto fa prevedere) le aspettative di inflazione dovessero aumentare. Una quota del 10% si può destinare ad un buon fondo obbligazionario high yield Usa e un altro 10% a un fondo obbligazionario Paesi emergenti: nel breve termine potrebbero soffrire la volatilità dei listini ma, grazie alla gestione attiva di portafoglio (che invece gli Etf non possono offrire), nel medio termine (tre anni) dovrebbero garantire un buon rendimento.
A proposito di durate dell'investimento: la decisione più importante per cercare di ottenere rendimenti positivi, con una bassa volatilità, consiste nell'impostare un orizzonte temporale di investimento di almeno tre anni (meglio se cinque).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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