Si apre lo scontro fra Bce e il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, sulla nuova stretta normativa ai crediti deteriorati che Francoforte vuole imporre alle banche europee.
I toni si sono alzati a margine delle riunioni di Eurogruppo e Ecofin e nella mischia è entrato anche il numero uno della banca centrale, Mario Draghi, che non usa mezzi termini: il problema dei cosiddetti non performing loans «non è risolto» e resta «la questione più importante», per questo serve «uno sforzo congiunto di banche, supervisori, regolatori e autorità nazionali» per sciogliere il nodo delle sofferenze delle banche «in maniera ordinata, prima di tutto e soprattutto creando un ambiente in cui gli npl possano essere efficacemente gestiti e ceduti in maniera efficiente», ha detto Draghi ieri. Posizionandosi sulla stessa linea della tecnica Daniele Nouy, capo della Vigilanza: l'esperienza dei salvataggi bancari dopo Mps suggerisce che «le banche devono smettere di negare la realtà», ha dichiarato la Nouy assicurando però che in ogni caso non ci sarà alcun automatismo ma «soluzioni e valutazioni caso per caso».
Ma Padoan non ci sta e, unica voce in Europa, ritiene che l'intervento della vigilanza di Francoforte abbia superato i limiti del mandato. In una conferenza stampa a Bruxelles, il ministro del Tesoro ha detto che all'Ecofin «non c'è stato intervento da parte dei ministri salvo che da chi vi parla. Sono intervenuto solo io sostenendo aspetti di metodo, sul fatto che l'addendum va oltre i limiti dell'Ssm (l'organo di supervisione guidato dalla Nouy, ndr) per la sorveglianza», ha detto Padoan, sottolineando anche perplessità nel merito. Insomma, giusto «aggredire questo problema, ma in tempi e modi ragionevoli». Contro il metodo usato dalla Bce si era già schierato il presidente del parlamento europeo, Antonio Tajani, per il quale l'Eurotower andrebbe oltre le proprie prerogative. Per dimostrarlo, arriverà oggi un parere di un giureconsulto incaricato dal Parlamento europeo: «Vedremo quale sarà la risposta, ma sono convinto che ci sia un limite oltre cui la Vigilanza della Bce non può andare», dice Tajani. E anche secondo la federazione bancaria europea le nuove regole aumentano l'incertezza regolamentare.
Sullo sfondo restano i circa 900 miliardi di crediti deteriorati in pancia alle banche. E anche se gli Npl sono scesi dal 7,5% d'inizio 2015 all'attuale 5,5%, dice Draghi, molte banche sono ben al di sopra e dunque a rischio. L'«addendum» - ovvero le ultime regole annunciate da Francoforte - è in consultazione fino all'8 dicembre e prevede un azzeramento in 2-7 anni del valore delle nuove esposizioni non performanti generate dallo stock di crediti esistenti. Quale sarebbe l'impatto sulle italiane? Alla fine del secondo trimestre le coperture dei crediti deteriorati del nostro sistema sono sopra la media (47% contro 44%), ma risultano sovraesposte al rischio (con ratio del 12% contro una media del 6%). Secondo i calcoli di Equita, le banche italiane dovrebbero quindi ridurre lo stock di «esposizioni non performanti» di 55 miliardi. Al momento gli istituti già sostanzialmente in linea con questo livello sono il Credem, Mediobanca, Unicredit e Intesa (che, ha detto ieri l'ad Carlo Messina, punta a ridurre i crediti deteriorati lordi di circa 16 miliardi entro il 2019).
Un secondo gruppo di banche che comprende Popolare di Sondrio e Ubi ha un «ratio» di circa il 15% e potrebbe raggiungere l'obiettivo accelerando le cessioni, mentre tutti gli altri istituti, secondo gli analisti, dovranno correre ai ripari.
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