Sostiene François Hollande: «L'accordo è possibile nelle prossime ore». Sostiene Wolfgang Schaeuble: «Non ha senso essere ottimisti». La misura di quanto sia caotica la situazione che circonda la Grecia, a un soffio dal giorno del giudizio, la danno proprio le dichiarazioni antitetiche di Parigi e Berlino, cioè le due capitali che dagli incontri riservati col premier ellenico, Alexis Tsipras, avrebbero dovuto ricavare una sintesi condivisa. Invece, no: la Cancelliera, Angela Merkel, fa sapere che Germania e Francia «lavorano intensamente», ma le posizioni non potrebbero essere più distanti.
Meglio allora cercare nelle parole pronunciate ieri in conferenza stampa da Mario Draghi una traccia delle soluzioni utili a evitare il patatrac. Perchè è evidente che nei pensieri del leader della Bce non c'è solo quel quantitative easing su cui «non stiamo discutendo alcuna exit strategy» visto che «c'è una lunga strada da fare»; anzi, se sarà necessario, il piano di acquisti di bond «sarà rivisto al rialzo». Con una ventina di miliardi del debito ellenico in pancia e con gli oltre 80 miliardi versati nelle esauste casse delle banche greche, l'Eurotower è esposta fortemente verso Atene. La Bce «vuole che la Grecia resti nell'euro», ma serve «un accordo forte che produca crescita, giustizia sociale ma anche sostenibilità di bilancio», spiega Draghi. Convinto della necessità di agganciare gli obiettivi di surplus primario nei conti pubblici della Grecia «alle prospettive di crescita più bassa». È ciò che i greci chiedono da tempo, considerando irrealistico centrare un target del 3% quest'anno. Draghi non ha sollevato a caso il tema, il piatto forte sia negli incontri avuti ieri da Tsipras con gli sherpa dei ministri finanziari, sia nella successiva cena con il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, il numero uno dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, alla quale hanno preso parte anche rappresentanti della Bce e del Fondo monetario internazionale. Dalle indiscrezioni filtrate, la proposta dei creditori alla Grecia prevederebbe un abbassamento degli obiettivi di avanzo primario all'1% quest'anno, al 2% nel 2016, del 3% nel 2017 e del 3,5% nel 2018.
Mentre il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, si schiera con Hollande («Accordo vicino, e l'Italia non è vulnerabile»), l'intensificarsi degli incontri può essere letto in diversi modi. Del resto, le scadenze ormai incombono: domani Atene dovrebbe rimborsare al Fmi oltre 300 milioni. Non si sa se il debito verrà onorato (fonti Ue sostengono che i soldi ci sono, ma che i greci minacciano di non pagare per forzare i negoziati), oppure se verrà saldato in un'unica soluzione, a fine mese, il prestito da 1,6 miliardi. Un accordo con l'ex Troika, con il versamento di 7,2 miliardi, metterebbe il Paese mediterraneo al sicuro. Almeno per ora.
I mercati sembrano credere ancora al lieto fine: se Atene è balzata del 4%, le altre Borse si sono mostrate più caute (+0,14% Milano), e l'euro è schizzato oltre quota 1,12 dollari dopo la revisione al rialzo, allo 0,3%, delle previsioni della Bce sull'inflazione 2015 nell'area euro. Confermate le stime relative alla crescita: +1,5% quest'anno, +1,9% il prossimo e +2% nel 2017.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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