Eni perde 8,8 miliardi Ma la cedola è salva La Borsa brinda (+5%)

Al Tesoro un assegno di 125 milioni, Cdp ne incassa 750. Investimenti tagliati del 20%, ma sale la produzione

Sofia FraschiniEni ha chiuso ieri uno dei bilanci più difficili della sua storia recente. Investita da un crollo del prezzo del petrolio più che dimezzatosi in valore nell'ultimo anno e mezzo (da oltre 100 dollari a poco meno di 30 dollari), la società petrolifera italiana ha archiviato i 12 mesi in perdita per 8,8 miliardi. A sorprendere il mercato, però, sono stati alcuni dati finanziari che in questo scenario mondiale depresso fanno sperare che la società riesca a superare il momento negativo, meglio dei competitor, ed evitando che vada in tilt il meccanismo che regge ogni oil company e che poggia saldamente sulla correlazione tra investimenti, scoperte, produzione e margini (quest'ultimi sempre più risicati). Un sistema che in questo momento in casa Eni regge grazie alla riduzione dei costi operativi, ai piani di deconsolidamento e alla ridefinizione del core business che da mesi l'ad Claudio Descalzi ha messo in atto evitando, per ora, drammatiche conseguenze: guardando ai competitor, la spagnola Repsol è a un passo dal rating junk, Shell ha tagliato 10mila posti di lavoro e Bp ha chiuso il 2016 con una perdita di 6,5 miliardi facendo ancora peggio dell'anno in cui avvenne il disastro nel Golfo del Messico. In questo contesto, dunque, preoccupa la perdita per 8,8 miliardi (8,4 miliardi nel trimestre, dall'utile di 1,2 miliardi del 2014) pesantemente condizionata dalle svalutazioni indotte dal crollo petrolifero (1,9 miliardi su Saipem e Versalis), ma le attenzioni degli analisti si concentrano su altri numeri. In primis il debito. Grazie all'operazione di contenimento dei costi e al deconsolidamento di Saipem (avvenuto vendendo il 12,5% alla Cdp, sua stessa azionista col 25,7%), l'indebitamento è passato dai 16,86 miliardi di fine dicembre (leverage a 0,31), a 12 miliardi (0,22). Un aspetto molto importante visto che Barclays ricorda che «nell'attuale scenario di mera sopravvivenza, sono da preferire le società con debiti in calo e leva finanziaria bassa». Così l'operazione Saipem potrebbe essere stata decisiva e sicuramente, per ora, ha «salvato» il dividendo del gruppo. Grazie all'accordo con la Cdp e al difficile aumento di capitale di Saipem, Eni è riuscita a far uscire dal suo bilancio 4,6 miliardi di debito potendo confermare la cedola a 80 centesimi (1,12 euro nel 2014) di cui 0,40 distribuiti nel settembre 2015 a titolo di acconto (in totale al Tesoro andranno 126 milioni e alla Cdp 750 milioni, quasi 300 milioni in più di quanto sborsato per acquistare il 12,5% di Saipem da Eni). Sostegno che è arrivato anche dai 4 miliardi di cash flow generati nel quarto trimestre. L'altro dato positivo riguarda la crescita produttiva: +10% nel 2015, contro il target iniziale del 5%, a 1,76 milioni. Merito anche della scoperta del campo supergiant di Zohr, in Egitto. Per questo sarà da valutare l'impatto dei tagli agli investimenti decisi dal gruppo nell'ordine del 20% anche se l'ad Claudio Descalzi ha assicurato che sarà limitato sui piani di crescita delle produzioni a breve e medio termine". Il management prevede che allo scenario di 50 dollari/barile gli investimenti tecnici saranno finanziati al 100% con il flusso di cassa operativo. Resta da valutare, ovviamente, quale sarà l'evoluzione del petrolio, ieri protagonista di una seduta in forte ripresa con il Wti e il Brent in rialzo a 33 e 36 dollari.

Tra le ombre, legate alla rivoluzione in atto nel gruppo, sono da sottolineare le dismissioni allo studio e sul quale potrebbero esserci nuovi dettagli nel piano industriale del 18 marzo. Sotto osservazione è in particolare la chimica con Versalis, oggetto di trattative in corso. Sulla scia dei conti il titolo ieri ha guadagnato il 5% a 12,7 euro, ma da inizio anno il saldo è negativo (-12%).

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