Economia

Ennesimo rinvio per l'Ilva. Ma alla fine vincerà Mittal

Per l'intesa tempo fino al 6 marzo. Così il gruppo franco indiano sta ottenendo molto. Per poi lasciare tutto allo Stato

Ennesimo rinvio per l'Ilva. Ma alla fine vincerà Mittal

Dalle minacce di guerra all'abbraccio caloroso. La scena rubata ieri da un obiettivo indiscreto in tribunale a Milano racconta più di tante indiscrezioni poco attendibili sul finale della vertenza ArcelorMittal-governo. Ieri, poco prima di firmare l'accordo che ha sancito il rinvio della causa che avrebbe dovuto decidere il futuro dell'Ilva, l'ad della controllata italiana di Arcelor Mittal, Lucia Morselli ha abbracciato Claudio Sforza, il direttore generale dell'altro pezzo di Ilva, quello in amministrazione controllata.

È il segno di una pace firmata che porterà, come dicono governo e Arcelor Mittal, a un futuro radioso per la grande acciaieria di Taranto? Piuttosto, è la prova che il colosso franco indiano ha vinto su tutta la linea. Ieri il giudice ha concesso un rinvio al 6 marzo, l'ennesimo. Ma, giurano i commissari straordinari di Ilva, è l'ultimo prima di firmare con Mittal un piano industriale che porti al rilancio della fabbrica di Taranto.

In attesa dunque di questo futuro splendente, le certezze sono che fino al 6 marzo la produzione non aumenterà e dunque continua la cassa integrazione. Solo uno dei costi a carico dello Stato. Il governo infatti si prepara a entrare nel capitale dell'azienda, probabilmente attraverso Invitalia, per creare una Newco che gestirà la futura parte «verde» dell'acciaieria, quella con i mitizzati forni elettrici. Ma, stando alle indiscrezioni, Arcelor Mittal ha acceso un semaforo rosso: della Newco i franco indiani non faranno parte. Resta dunque da vedere chi si lancerà nella nuova avventura dell'acciaio di Stato.

Ma, soprattutto, resta da capire cosa sarà del vero cuore della fabbrica, gli altoforni finiti nel mirino della magistratura. Mittal continua a smentire ogni notizia di disimpegno: «Resteremo a Taranto». Ma, mentre pare si prepari a incassare un sconto del 50 per cento sulle «rate» che ancora dovrebbe pagare allo Stato, non prende impegni sui livelli occupazionali. Ecco perché ieri, nonostante le rassicurazioni, sotto forma di veline governative, secondo cui non ci saranno nuovi rinvii ed entro il mese si chiuderà un accordo vero, i sindacati hanno reagito suonando l'allarme. La Fiom Cgil in particolare ha chiesto conto della notizia riportata dalla Gazzetta del Mezzogiorno secondo cui nella bozza di accordo sarebbe già prevista una clausola che garantisce ad Arcelor Mittal una «exit strategy»: via dall'Ilva in cambio del pagamento di 400 milioni di euro, una penale ben modesta rispetto all'investimento di 4,2 miliardi previsto dall'accordo siglato a settembre 2018. «Si continua con l'agonia della fabbrica», chiosa amara la Fim Cisl. E ora i sindacati chiedono di essere convocati per vedere le carte della misteriosa trattativa.

O sarà mobilitazione.

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