di Gianluca Garbi
Per la prima volta da quando è iniziata la crisi finanziaria nel 2008 il rendimento dei titoli di Stato tedeschi entro i due anni non è più il più basso in Europa. Finlandia, Slovacchia e Austria ora pagano un rendimento del titolo benchmark a due anni più contenuto rispetto a quello tedesco; il titolo olandese lo ha sopravanzato più volte; quello francese si è fatto molto sotto. Le ragioni posso essere diverse: da inizio anno sui mercati si è respirata una certa euforia; non si parla più di break-up dell'euro; molti speculatori al ribasso hanno chiuso le posizioni corte; alcune aste in Italia e Spagna hanno registrato una domanda molto forte che ha spinto verso il basso i rendimenti offerti e contestualmente - come vasi comunicanti - riallineato verso l'alto i rendimenti dei titoli tedeschi.
Inoltre, le aspettative di crescita sono aumentate e in Italia l'avanzo primario è cresciuto. Si tratta di segnali positivi che in un mercato volatile producono effetti amplificati e quindi estremamente positivi. Vale la pena riflettere sulle implicazioni legate al fatto che la Germania non sia più un benchmark.
Per la politica europea dovrebbe essere l'occasione per riaprire la discussione sulla creazione di titoli di Stato europei. Non vi è infatti dubbio che se in Europa fossero esistiti gli Eurobond alcune conseguenze negative sui Paesi a più alto debito sarebbero state limitate. L'assenza di un unico debitore pubblico dell'area euro, infatti, fa sì che i comportamenti degli investitori abbiano l'effetto di accentuare alcuni problemi. D'altra parte, se avessimo avuto un unico emittente europeo, forse alcune riforme necessarie non sarebbero mai state fatte: la politica non si sarebbe sentita minacciata dal mercato e gli Stati con i conti pubblici in ordine avrebbero pagato il costo per i Paesi più a rischio. La Germania non avrebbe mai accettato di mettere a fattore comune il debito perdendo il vantaggio di potersi finanziare a tassi migliori rispetto agli altri Paesi europei, poiché per la politica tedesca si è trattato del riconoscimento da parte del mercato al buon lavoro svolto. E la Germania non accetterà gli Eurobond fino a quando perdureranno elevati differenziali di rendimenti fra titoli pubblici. Perché allora non sfruttare la situazione odierna, con il differenziale di rendimento fra i titoli a breve ai minimi storici, per iniziare a creare un programma di emissione europea? D'altra parte, la posizione di Mario Draghi sembra ormai consolidata. Investitori e speculatori hanno tutti accettato il fatto che la Bce non permetterà mai il fallimento dell'euro e lo farà acquistando i titoli a breve in modo illimitato, se questo sarà necessario. La parte a breve del mercato è quindi sotto tutela della Banca Centrale Europea.
Ecco allora arrivato il momento di consolidare il lavoro svolto, evitando che la politica monetaria e la valuta unica possano essere nuovamente messe in discussione, facendo emettere debito a breve da un unico soggetto europeo, che a sua volta finanzierebbe le esigenze di cassa dei diversi stati europei purché questi continuino a rispettare i parametri concordati in Europa. La politica continuerà ad essere giudicata sulla base di quello che riuscirà a fare per la crescita a medio-lungo termine dai differenziali di rendimento sui titoli a medio-lungo termine emessi dai singoli stati. La stessa Germania avrà un vantaggio dalla creazione degli EuroTbills perché verrà ridotto quello che in gergo è chiamato premio di liquidità. In Italia la politica è impegnata nella competizione elettorale ed è quindi difficile trovare un interlocutore cui chiedere di riaprire il dibattito sugli EuroTbills a livello europeo - e forse non sarebbe nemmeno opportuno che fosse proprio l'Italia a farsi promotore di questa richiesta in Europa-.
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