Rodolfo Parietti
Gigante mondiale della rete, questa volta Facebook è rimasta impigliata in quella del Fisco italiano, cui dovrà versare 100 milioni di dollari. La storia è sempre la stessa, quella vista in altri contenziosi fra l'erario tricolore e multinazionali di vario genere come Apple, Amazon e Google, e si regge su un meccanismo molto semplice: invece che versarle in Italia, luogo in cui i profitti venivano generati, le tasse venivano pagate in Paesi dalla mano fiscale leggera.
Un giochetto praticato anche dal numero uno dei social network, al punto da attirare fin dal dicembre del 2012 l'interesse degli 007 della Guardia di Finanza. Sotto la lente erano finiti i ricavi derivanti dalla vendita di spazi pubblicitari, con l'obiettivo parallelo di scoprire, come si legge in una nota dell'Agenzia delle Entrate, se la creatura di Mark Zuckergerg avesse una «stabile organizzazione» sul suolo italiano. A conclusione delle indagini, relative a un periodo che va dal 2010 al 2016, le Fiamme Gialle hanno stabilito che Facebook ha realizzato in Italia redditi per 296,7 milioni. Non dichiarati. Un far di conto reso possibile da una serie di perquisizioni con analisi contestuale di una montagna di documenti. Così la GdF ha ricostruito tutti i passaggi e accertato che solo formalmente Facebook Ireland limited (che da settembre 2010 ha preso il posto della capogruppo Facebook) vendeva la pubblicità. La consociata irlandese pagava infatti ingenti somme di denaro per «diritti e licenze per l'uso della piattaforma Facebook» a Facebook Ireland holdings, una società con sede nel paradiso fiscale delle isole Cayman che fa parte della galassia Zuckerberg. E proprio grazie al pagamento di queste royalties, secondo l'accusa, Facebook riusciva ad abbattere in maniera importante l'ammontare delle tasse da pagare in Italia. In tutto, secondo gli inquirenti, non sarebbero stati versate ritenute per 54 milioni su una base imponibile di oltre 180 milioni. Così, per chiudere il contenzioso, Facebook ha accettato di pagare 100 milioni. «Abbiamo raggiunto un accordo con l'Agenzia delle Entrate per definire l'accertamento in corso. Agiamo in conformità alle leggi locali in Italia e in tutti i Paesi in cui operiamo e continueremo a collaborare con tutte le autorità italiane», ha commentato un portavoce del gigante californiano. «Siamo orgogliosi del nostro impegno verso l'Italia a sostegno della crescita delle imprese locali e dell'ecosistema digitale nel suo complesso».
Non è la prima volta che uno dei colossi del web sigla un accordo con il Fisco italiano. La prima tra i big a venire a patti era stata Apple, che a dicembre 2015 aveva accettato di versare 318 milioni.
Poi, lo scorso dicembre, Amazon ha subìto lo stesso trattamento riservato a Facebook: 100 milioni da accreditare sul conto dell'Agenzia delle Entrate. Ma molto più sostanzioso era stato l'assegno staccato da Google sempre nel 2017: ben 306 milioni per dare un colpo di spugna alle grane fiscali del periodo 2012-2015.
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