Alla fine degli anni '70 c'erano le Addas, scarpe a prezzo stracciato che imitavano le ben più note (e costose) calzature sportive col brand a tre bande. Da allora, il falso si è evoluto: quasi indistinguibile dall'originale, è diventato un business miliardario che alimenta la criminalità organizzata, con danni economici gravissimi. L'allarme su un fenomeno sotto gli occhi di tutti, ma di cui spesso sfugge la pericolosità perfino alle istituzioni europee, è stato lanciato ieri dall'Indicam, l'istituto di Centromarca per la lotta alla contraffazione, durante l'assemblea annuale.
Mai come in questo caso, i numeri servono a inquadrare «l'industria della copia». Uno studio dell'Ocse, datato 2009, quantifica in 250 miliardi di dollari il giro d'affari dei cloni. Un valore già enorme, da raddoppiare se si tiene anche conto delle imitazioni prodotte e consumate all'interno della stessa area doganale. Il peso è enorme, e oscilla tra il 7 e il 9% delle vendite di prodotti sull'intero mercato mondiale. Tutto si copia: dal software (da cui deriva il 35% dei ricavi) all'audio-video (25%), dal tessile (20%) ai profumi (10%), dai farmaci (6%) agli orologi (5%). Crisi? Mai sentita.
Dal 1994 al 2011, l'incremento delle contraffazioni è stato del 1.850%. Risultato: 270mila posti di lavoro persi negli ultimi 10 anni a livello mondiale (di cui 125mila nella sola Ue), con un impatto sul Pil dell'8-9%.
E l'Italia? «Oltre a essere il primo Paese europeo per acquisti di prodotti contraffatti, è il quinto al mondo per realizzazione di prodotti contraffatti», spiega Carlo Guglielmi, presidente uscente di Indicam. Un giro d'affari compreso tra i 3,7 e i 7,5 miliardi di euro. Di questi oltre il 60% ha riguardato abbigliamento e moda, il resto orologi, beni di consumo, componentistica, audio-video e software.
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