A Natale il panettone non è mai stato semplicemente un dolce. È un vero e proprio rito, l'atteso momento che sancisce ufficialmente che il pranzo è finito e che, volenti o nolenti, si entra nella zona pericolosa del “solo una fettina”.
Per decenni è stato così: alto, soffice, profumato di burro, uvetta e canditi, tagliato con rispetto quasi liturgico e accompagnato da silenzi improvvisi, perché sul panettone non si discuteva. Era uno di quei pochi punti fermi della tradizione natalizia italiana, insieme all’albero, al presepe e alle stesse discussioni che si ripetono identiche ogni anno. Poi qualcosa è cambiato. Lentamente all’inizio, quasi con discrezione, poi in modo sempre più vistoso. Il panettone ha smesso di essere soltanto “quello” e ha iniziato a diventare altro: terreno di sperimentazione, addirittura oggetto di design gastronomico e di provocazione sociale. Il Natale 2025 segna probabilmente il punto di non ritorno, l’anno in cui il panettone non arriva più a tavola come una certezza, ma come una sorpresa talvolta piacevole, talvolta disturbante, quasi sempre destinata a far discutere.
Ed è così che, accanto al grande classico che continua imperterrito a fare la sua parte, oggi compaiono panettoni che sembrano concepiti più per essere guardati, commentati e fotografati che mangiati. Il caso più emblematico è quello del panettone ricoperto d’oro: il vertice assoluto dell’ostentazione natalizia. Qui il messaggio è chiarissimo: non importa cosa senti al palato, importa quello che vedi. Foglia d’oro vera, prezzo a tre cifre, formati imponenti e dinamica da oggetto di lusso spesso già esaurito prima ancora che qualcuno possa chiedersi che sapore abbia.
L’oro, del resto, non aggiunge nulla al gusto, ma aggiunge tutto al racconto: è il panettone che non vuole piacere, vuole dominare la tavola come un trofeo. Se l’oro rappresenta l’eccesso estetico, il fronte più ideologico e divisivo del 2025 è senza dubbio quello dei panettoni con insetti. Qui la stranezza non è solo gastronomica, ma culturale. Non si tratta più di percentuali microscopiche nascoste nell’impasto: in alcune versioni l’insetto viene esibito, caramellato, ricoperto di cioccolato, trasformato in elemento decorativo oltre che nutrizionale. Farina di grillo, larve croccanti, creme “dark” abbinate senza complessi.
Il panettone diventa così una dichiarazione: di apertura al futuro per alcuni, di provocazione gratuita per altri. In ogni caso, funziona perfettamente nel suo scopo principale: far parlare di sé e trasformare il dessert natalizio in una prova di coraggio.
All’estremo opposto, ma con la stessa logica spettacolare, si collocano i panettoni sovraccarichi di snack. Qui non c’è ideologia, solo iperbole. Il grande lievitato diventa una base su cui accumulare barrette, biscotti, ovetti, creme colanti, strati su strati di zucchero e grassi. Sono panettoni che rinunciano a qualsiasi pretesa di equilibrio per abbracciare l’eccesso puro, pensati per l’effetto “wow” sui social più che per il taglio a tavola.
Versioni mini, superfarcite, spesso più simili a un dolce da luna park che a un panettone, ma perfettamente allineate allo spirito del tempo: più è esagerato, più esiste. Il 2025 è anche l’anno in cui il panettone ha deciso di bere. O meglio, di farsi bere. Le versioni ispirate ai cocktail portano nel dolce simbolo del Natale aromi di Spritz, Bellini, prosecco e pesca, trasformando il momento finale del pranzo in una strana fusione tra dessert e aperitivo. È una contaminazione che fa sorridere e storcere il naso allo stesso tempo, perché tocca un altro nervo scoperto della tradizione: quella separazione netta tra ciò che si mangia e ciò che si beve. Qui tutto si mescola, con risultati spesso volutamente ambigui.
Come se non bastasse, il Natale 2025 ha abbracciato senza remore anche la moda del “Dubai style”. Il panettone si fa globale, luccicante, iper-farcito, con pistacchi, suggestioni mediorientali, richiami a kataifi e a un lusso un po’ caricaturale. Non è più una questione di territorio o artigianalità, ma di immaginario: il panettone come oggetto aspirazionale, come simbolo di una ricchezza ostentata che passa anche dalla tavola delle feste. E quando sembra che il confine sia stato definitivamente superato, ecco comparire il parente più grottesco di tutti: il pandoro di mozzarella.
Non un dolce, non un salato nel senso classico, ma un colpo di teatro puro. Una mozzarella di bufala inserita in uno stampo da pandoro, con la sua forma a stella, il siero che affiora al taglio e l’effetto scenico garantito. È uno di quegli oggetti che non chiedono di essere giudicati, ma solo guardati. E, spesso, assaggiati per pura curiosità.
In questo panorama di eccessi, provocazioni e trovate più o meno riuscite, spicca anche una stranezza più sottile ma forse più rivoluzionaria: il panettone salato. Non come il vecchio panettone gastronomico , diffuso da anni e neppure come scherzo, ma come nuovo accompagnamento per pranzi e cenoni. Impasti pensati per abbinarsi ad antipasti, formaggi, creme, da servire all’inizio del pranzo e non alla fine.
È un ribaltamento silenzioso ma profondo: il panettone smette di essere il sigillo finale del Natale e diventa un elemento trasversale, capace di stare in tavola dall’inizio alla fine. Alla fine, il senso di tutte queste bizzarrie non sta nel singolo gusto, ma nel cambiamento di ruolo. Il panettone del 2025 non è più soltanto un dolce tradizionale: è un linguaggio.
Può essere lusso, provocazione, gioco, ideologia, spettacolo o semplice voglia di stupire.