Economia

La Fed fa il falco: tassi su fino al 2024

Il costo del denaro sale di un altro 0,75%. Powell: "Avanti contro l'inflazione"

La Fed fa il falco: tassi su fino al 2024

La Federal Reserve non molla la presa sull'inflazione. Anzi. Eliminata ogni screziatura da colomba, assume una postura da falco che molto ricorda l'aggressività di Paul Volcker negli anni '80, mandando un segnale ai mercati che più chiaro non si può: nessuno taglio dei tassi verrà deciso fino al 2024. Avviso accompagnato ieri dal quinto aumento consecutivo del costo del denaro, con una stretta dello 0,75% che lo fa salire al 3-3,25%, il livello più elevato dall'inizio del 2008. In cinque mosse consecutive, con la prima lo scorso maggio, Eccles Building ha cambiato spartito, chiudendo la lunga era del denaro a costo zero. Il ricompattamento unanime del board sulla linea hawkish, dopo il dissenso manifestato in agosto da due governatori che chiedevano di usare la mano più leggera, è del tutto evidente nei «dot plot». Le aspettative sulla traiettoria dei tassi indicano infatti un 4,4% a fine anno e al 4,6% nel 2023, per poi imboccare la discesa, al 3,9%, solo l'anno dopo. Il «pivot», il tetto ai tassi, sognato dagli investitori per diverse settimane è, al momento, appena un puntino all'orizzonte. Ci sarà insomma ancora da soffrire e aspettare prima di veder materializzarsi le tre sforbiciate messe in conto fra un paio d'anni, nonché le quattro nel '25 che dovrebbero normalizzare la politica monetaria riportando i Fed Funds al 2,9%.

Wall Street (-0,10% a un'ora dalla chiusura) sembra rassegnata all'inevitabile, pur essendo consapevole che Eccles Building gioca col fuoco. L'effetto collaterale prevedibile di continui restringimenti del credito è la recessione. Una contrazione economica che rischia di essere esacerbata dalla sempre più delicata situazione geo-politica, ora che la Russia sembra voler giocare il tutto per tutto, ma di cui non c'è traccia nelle proiezioni della banca Usa che accreditano il Pil di una crescita dello 0,2% quest'anno (dal +1,7% di giugno), dell'1,2% nel 2023, dell'1,7% nel 2024 e dell'1,8% nel 2025, «Nessuno sa - ha detto il capo della Fed, Jerome Powell - se questo processo di rialzi dei tassi di interesse porterà a una recessione. Non c'è una strada indolore per lasciarci l'inflazione alle spalle». Per poi però aggiungere: centrare un atterraggio morbido dell'economia «è difficile». La missione, del resto, è solo una: «Siamo determinati» a riportare l'inflazione al 2% e «andremo avanti finché il lavoro non sarà finito». Ergo, «ci aspettiamo altri rialzi appropriati», ha aggiunto, prima di incorrere di nuovo in un lapalissiano «a un certo punto la velocità dei tassi rallenterà». Il problema è che il target del 2% non sarà raggiunto prima del 2025. «È probabile - ha ammesso Powell - che la riduzione dell'inflazione richieda un periodo prolungato di crescita al di sotto del trend. E molto probabilmente (significherà) un certo ammorbidimento delle condizioni del mercato del lavoro». Cioè più gente a spasso, come confermato dalle stime secondo cui il tasso di disoccupazione è destinato a salire dall'attuale 3,7% al 4,4% entro il 2023.

Il successore di Janet Yellen ha infine negato che la Fed si stia coordinando con le altre banche centrali, affermando che «siamo ben consapevoli di quello che accade nelle altre economie del mondo e viceversa».

Di sicuro, però, sta dettando la linea: difficile immaginare, il prossimo ottobre, una stretta inferiore ai tre quarti di punto da parte della Bce.

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