La Federal Reserve dà il via alle grandi manovre per cercare di domare la corsa dei prezzi saliti ai massimi da 40 anni, ma non scopre tutte le carte. «Con un'inflazione ben al di sopra del 2% e un mercato del lavoro forte, il Comitato prevede che presto sarà opportuno aumentare i tassi», si legge nel comunicato rilasciato ieri sera al termine della riunione del Fomc (il braccio operativo di politica monetaria), in cui non si precisa però alcun riferimento temporale. Nè si fa menzione alle tappe che saranno necessarie per alleggerire il bilancio, al momento gonfio di asset per un controvalore pari a 9mila miliardi di dollari. L'unica cosa certa (e risaputa) è che il piano di acquisto titoli da 120 miliardi al mese, il pacchetto anti-Covid, si concluderà in marzo. In conferenza stampa il presidente Jerome Powell ha però ricordato che c'è «un bel po' di spazio» per inasprire i tassi, che «probabilmente saranno aumentati in marzo», e che «l'economia non ha più bisogno di livelli elevati di sostegno di politica monetaria». Parole che non sono del tutto piaciute a Wall Street (-0,7% il Dow Jones a un'ora dalla chiusura), dove negli ultimi giorni è montata la paura che quest'anno gli inasprimenti del costo del denaro possano essere più dei quattro previsti.
L'atteggiamento prudente sul percorso di normalizzazione da intraprendere lascia supporre che lo strappo temuto, un innalzamento secco del costo del denaro di mezzo punto come previsto nei giorni scorsi da JP Morgan, non arriverà fra un paio di mesi. L'impressione è che Powell, forse spaventato dalla correzione tecnica del Nasdaq e dai tremolii del Dow Jones e dell'S&P 500, o perché ha capito che la politica monetaria deve essere flessibile e adattarsi al contesto che si evolve, abbia virato verso la classica strategia del wait and see: gli sviluppi economico-finanziari e l'andamento dei contagi da Omicron indicheranno nelle prossime settimane la strada da percorrere. «È difficile prevedere quale sarà l'andamento della nostra politica sui tassi, non abbiamo preso alcuna decisione e saremo guidati dai dati», ha confermato il capo di Eccles Building. Quanto alla riduzione del bilancio, tutto è ancora in alto mare: «Ci vorrà del tempo, ma non è possibile dire quanto. Vogliamo che questo processo sia ordinato e prevedibile», ha detto Powell. Secondo gli economisti di Deutsche Bank, se il bilancio sarà tagliato di 1.500 miliardi fra l'estate e la fine del prossimo anno, l'effetto potrebbe essere quello di circa tre aumenti dei tassi da un quarto di punto. E l'inflazione, visto che tra l'altro i nodi della catena di approvvigionamenti si sono fatti più intricati? «Rispetto alla riunione di dicembre, direi che la situazione è più o meno la stessa, o forse leggermente peggio. Ma c'è anche il rischio che l'inflazione salga a livelli persino più alti di quelli attuali», ha spiegato Powell. La Fed si muove sul filo del rasoio ed è preda del classico dilemma keynesiano: deve combattere l'ascesa dei prezzi, rischiando la recessione? Oppure deve preservare la ripresa sperando che il carovita perda forza? La scelta pare una sola: scegliere il minore dei mali. Non sarà facile.
L'America potrebbe intanto dover presto fare i conti ancora con la Cina.
L'Organizzazione mondiale del commercio ha infatti deciso di autorizzare Pechino a imporre sanzioni tariffarie, per un valore di poco superiore a 645 milioni di dollari, su prodotti americani in rappresaglia ad analoghe misure antidumping Usa.
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