I vari «San Tommaso» Maurizio Landini (Fiom) e Susanna Camusso (Cgil), anche se dalla tv o tramite le di agenzia, hanno potuto toccare quasi con mano il Suv compatto che Fiat intende produrre, dal 2013, a Mirafiori (seguirà lanno successivo il «gemello» targato Jeep). Non è stata casuale, dunque, nel mezzo del vernissage della 500L, lapparizione per pochi secondi del modello che dovrà conquistare unimportante fetta di mercato in un segmento in continua espansione. Sergio Marchionne, dunque, ha mostrato ai soliti scettici che lautomobile programmata a Mirafiori esiste ed è un punto fermo della strategia del gruppo. Resta però da vedere se, con questo tipo di mercato in Italia e in Europa, e soprattutto alla luce della recente sentenza pro-Fiom su Pomigliano, sarà sempre Mirafiori ad assemblare questi Suv. È vero che Marchionne, laltra sera, ha confermato gli investimenti nella storica fabbrica torinese, ma è altrettanto vero - come ha dimostrato in questi anni - che se la situazione e gli scenari cambiano, la buona volontà non basta. Qualche esempio: lo stesso giorno del suo insediamento ai vertici del Lingotto, allindomani della scomparsa di Umberto Agnelli, Marchionne aveva assicurato che non avrebbe chiuso stabilimenti in Italia. Invece è arrivato lo stop per Termini Imerese, mentre alla presentazione della 500L lad di Fiat e Chrysler ha ipotizzato il taglio di un secondo impianto nel Paese («se si guarda alla domanda, cè almeno uno stabilimento extra in Italia; bisognerebbe eliminarne uno»). Altra giravolta, Marchionne lha fatta guardando alle vendite di Lancia e Alfa Romeo, viste qualche anno fa a 300mila unità per marchio. Il responso del mercato, complici diversi fattori, tra cui lennesimo ritardo dello sbarco del Biscione negli Usa e la svolta Chrysler, ha fortemente ridimensionato le aspettative. È la conferma che alle parole, spesso, per cause di forza maggiore, non seguono i fatti.
Ecco perché, a questo punto, le conferme date da Marchionne sono da prendere con estrema cautela. Valgono oggi, potrebbero non valere più dopodomani. Ricordate quando, qualche anno fa, lo stesso Marchionne e il presidente John Elkann avevano descritto Mirafiori «cuore» del gruppo?. Invece «Mirafiori resta a rischio - dice un osservatore - anche se una sua chiusura risulterebbe politicamente più difficile rispetto ad altri impianti. Questa fabbrica, inoltre, continua a essere scarica di prodotti, si trova in piena città e, per questo, ha potenzialmente anche un maggior valore immobiliare. Cè Melfi, poi, che non è più tanto moderna come un tempo. E Cassino, impianto specializzato nel segmento C per il quale il Lingotto non ha le idee chiare». Per lesperto, che vede più sicuro Pomigliano a cui è già stata assegnata la missione Panda, in gioco sono più o meno tutte le fabbriche in Italia, anche se, secondo Roberto Di Maulo (Fismic), «lo stabilimento di Mirafiori è quello più in bilico». «La situazione è critica - aggiunge il sindacalista - e sentenze sbagliate (Pomigliano, ndr) non possono che aggravarla».
A proposito di sentenze, solo oggi i legali della Fiat depositeranno presso la Corte dappello di Roma il ricorso alla sentenza che ordina, al Lingotto, lassunzione di 145 operai Fiom a Pomigliano. Gli avvocati, per evitare le calende greche, potrebbero intanto chiedere una sospensiva del provvedimento esecutivo.
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