Torino - Da Torino, dove insieme al presidente John Elkann ha presieduto l’assemblea degli azionisti Fiat, Sergio Marchionne è tornato a parlare dei rapporti tra il Lingotto e l’Italia nel contesto del cambiamento di pelle che il gruppo ha subito nell’ultimo anno. Il Paese, in pratica, «grazie all’alleanza Fiat-Chrysler ha la grande occasione di rientrare in un disegno globale - ha detto l’ad del gruppo - beneficiando della possibilità di esportare in mercati extra-europei». Marchionne, però, vede la strada ancora in salita per completare gli investimenti promessi. Non lo dice apertamente, ma «le forze esterne» che potrebbero impedire «che il piano venga realizzato», sono facilmente individuabili nella Fiom di Maurizio Landini. E se queste forze dovessero prevalere, nel senso che la governabilità negli impianti sarà ostacolata, «non ci resterà che prenderne atto; non saremo, a quel punto, i responsabili delle conseguenze».
Marchionne fa anche capire che l’attesa non potrà essere eterna, anche alla luce dell’impatto che le 41 cause di lavoro intentate dalla Fiom avranno con la produzione. «Stiamo osservando il tutto con attenzione», sottolinea, confidando allo stesso tempo che i cambiamenti portati avanti dal governo Monti si concretizzino velocemente: «Se non ce la fa lui non ce la fa nessuno». All’assemblea degli azionisti (approvati bilancio dell’esercizio 2011 e distribuzione di un dividendo lordo pari a euro 0,217 euro per ciascuna azione privilegiata e di risparmio; il nuovo cda della Fiat è stato ridotto a 9 membri, di cui due sono donne) Elkann e Marchionne hanno presentato il nuovo volto dell’azienda, quello di un gruppo che nel 2011 si è trasformato completamente. «Siete di fronte - ha spiegato Elkann - a una società integrata, con 197mila dipendenti nel mondo, 155 impianti, 77 centri di ricerca e 4 milioni di auto prodotte. Il fatturato di 59 miliardi, inoltre, si presenta ora equilibrato nelle varie aree: 21 miliardi riguardano il Nordamerica, 21 l’Europa, 11 il Mercosur e 5 il resto del mondo». E Marchionne: «Aver raggiunto un migliore equilibrio geografico, ci ha permesso finalmente di porre rimedio all’eccessiva dipendenza della Fiat dal mercato europeo. Oggi non siamo più un player marginale».
È proprio l’Europa, e in particolare l’Italia, la spina nel fianco di Marchionne. Al di là del pesante calo delle vendite di automobili, a preoccupare l’ad del Lingotto è sempre il problema della sovracapacità produttiva. «La rete italiana - ricorda Marchionne - lavora al 50% sotto la sua capacità, rispetto a circa il 90% di utilizzo delle fabbriche Usa e al 114% di quelle del Sudamerica». Un divario non più sostenibile e che il piano Fabbrica Italia, con l’accordo siglato da tutti i sindacati eccetto la Fiom, intende ribaltare quanto prima. Sempre se «le forze esterne» lo consentiranno». Marchionne ha fissato un anno, il 2014, entro il quale «le inefficienze della rete industriale in Italia» saranno sanate. Le mani libere dalla Confindustria, anche da quella uscita dalle ultime consultazioni, dovrebbero favorire il processo di recupero della competitività. In proposito, Marchionne ha ribadito di non avere alcuna intenzione di incontrare o salutare il presidente designato Giorgio Squinzi.
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