Economia

Fiat rilancia sull'Italia, ecco il nuovo piano

Marchionne svela i progetti: 17 novità entro il 2016. A Mirafiori l'alta gamma Alfa e Maserati. Lancia al capolinea

Fiat rilancia sull'Italia, ecco il nuovo piano

Conti trimestrali e stime di Fiat a parte, nel dopo cda di ieri Sergio Marchionne (nella foto) ha inaspettatamente aperto il cassetto della scrivania mettendo sul tavolo le nuove allocazioni di prodotti negli stabilimenti italiani e il piano modelli per il Paese da qui al 2016: 17 in tutto, di cui 3 nel 2013 (due Maserati e un'Alfa); 6 l'anno successivo (uno di Fiat Professional, un altro di Maserati, uno targato Jeep, uno Fiat e due Alfa); 5 nel 2015 (due Maserati e tre Alfa); 3 nel 2016 (uno Maserati e due Alfa Romeo). La parte del leone, dunque, riguarda Alfa e Maserati, da cui il gruppo intende ripartire. «Vogliamo puntare - ha spiegato l'ad - sui nostri grandi marchi storici premium, riallineare il portafoglio prodotti e riposizionare l'attività per il futuro».
Dal Lingotto un messaggio agli scettici e al Paese («nessuna chiusura di impianti»), con l'obiettivo di utilizzare più del 15% della capacità per l'esportazione, in particolare, dei Suv compatti Jeep (dal 2014) e delle novità Alfa e Maserati. All'interno della gamma Fiat, poi, «500» e «Panda» diventano due brand nel brand che daranno vita, come sta già accadendo, a una famiglia di modelli.

Note dolenti, invece, sul marchio Lancia che pare destinato all'oblio. Lapidario Marchionne: «Alfa e Maserati hanno grandi potenzialità; ma dobbiamo essere onesti, Lancia ha un appeal limitato e non tornerà quella che era una volta; l'unico modello economicamente sostenibile in Europa è la Ypsilon. Lancia vivrà dei prodotti derivati da Chrysler concepiti a Detroit (nel 2015 restyling di 200/Flavia; ndr), almeno fino a quando ci sarà un ritorno economico». In serata il «piano» uscito dal cilindro di Marchionne è stato approfondito con i sindacati e, nell'occasione, l'ad ha fatto chiarezza sul futuro degli impianti italiani, allo scopo di portarli a saturazione. Nessuna quantificazione, per ora, sugli investimenti, ma si parla fra i 3 e i 5 miliardi in due anni. In particolare, lo stabilimento torinese di Mirafiori produrrà la famiglia Alfa MiTo e i modelli di alta gamma del Biscione e di Maserati. Suv e Cuv (City utility vehicle) nasceranno invece a Melfi, in Basilicata, mentre a Cassino (Frosinone) saranno sfornati modelli Chrysler destinati all'esportazione, grazie a una piattaforma già definita e condivisa con la casa automobilistica di Auburn Hills. «Pur in presenza di un quadro economico generale in Europa che non mostra segni di miglioramento - la nota a chiusura del vertice con i sindacati - Fiat ha confermato alle organizzazioni dei lavoratori la scelta di mantenere inalterata la capacità produttiva in Italia e la propria intenzione di non operare tagli strutturali del personale. I nuovi prodotti saranno basati sulle piattaforme globali del gruppo».

Nel giorno dei conti, e all'indomani degli ottimi risultati di Chrysler, il titolo Fiat ha fatto un brutto scivolone, chiudendo a 3,93 euro (-4,66%). Esclusa la casa Usa, infatti, nei primi 9 mesi del 2012 la perdita Fiat ammonta a 800 milioni (utile di 1,2 miliardi nel 2011). A preoccupare il fatto che nel quarto trimestre non ci dovrebbe essere generazione di cassa e l'aumento del debito a 6,5 miliardi rispetto ai 5,5-6 stimati. A ciò si aggiunge il valore negativo delle attività europee. La liquidità, che include 3 miliardi di linee di credito non utilizzate, resta di circa 20 miliardi. Per Marchionne, in proposito, il gruppo «ha superato la tempesta con la prudenza nell'utilizzo del cash». I conti del terzo trimestre consolidati mostrano un utile netto a 286 milioni, più che raddoppiato, e ricavi a 20,437 miliardi (+16%). Tagliati, poi, a causa della crisi dell'auto, gli obiettivi dei prossimi anni. Per il 2012 la stima è di un utile operativo di 3,8 miliardi e di ricavi a 83 miliardi. Il piano Fiat per l'Italia finisce invece per rallentare il completamento dell'acquisizione di Chrysler. E ciò lascerà la possibilità al fondo Usa, Veba, di spingere per un'Ipo già a gennaio.

La fusione potrebbe avvenire tra il 2014 e il 2015.

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