Il flop delle nomine renziane allontana i fondi internazionali

Dopo il caso Pistelli e l'addio di Zingales, nel cda di Eni è discusso il ruolo di Pagani Mentre gli investitori sovrani e privati non hanno gradito il ribaltone in Cdp

La Leopolda delle poltrone nei cda delle società partecipate dallo Stato è diventata un gran pasticcio. In altri termini, le nomine del governo Renzi cominciano a fare acqua. Lo si è capito nei giorni scorsi con l'assunzione all'Eni del fiorentino Lapo Pistelli - parlamentare Pd, collaboratore del premier quando era sindaco di Firenze e poi viceministro degli Esteri - che si occuperà dei business internazionali del gruppo. La new entry è stata mal digerita dall'economista Luigi Zingales, consigliere indipendente e componente dei comitati per i rischi e le nomine, che se ne è andato dal cda dell'Eni motivando le sue dimissioni con le «non riconciliabili differenze di opinione sul ruolo del consiglio nella gestione della società». Anche Zingales è stata una nomina renziana, fortemente voluto nel cda di Eni. Ma l'arrivo di Pistelli, nomina politica e non spiegata, sarebbe stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo per alcune delibere prese senza seguire un processo decisionale sufficientemente profondo. Senza dimenticare, aggiungono i maligni, gli sviluppi imprevedibili delle vicende giudiziarie ancora aperte.

Di certo, sulla governance di Eni sono ora puntati i riflettori del mercato. E la mossa di Zingales ha dato fiato ai mugugni su altre poltrone. Tutte toscane. Come quella occupata dal pisano Fabrizio Pagani: consigliere economico dell'ex presidente del Consiglio Enrico Letta, già direttore presso l'Ocse a Parigi, oggi è uno degli uomini forti del ministero dell'Economia dove ricopre il ruolo di capo della segreteria tecnica. Ma da maggio 2014 è anche lui entrato nel cda del Cane a sei zampe, sempre nella lista governativa, nonché nei comitati nomine e sostenibilità. Senza dimenticare che nel consiglio dell'Eni siede anche l'aretina Diva Moriani, vicepresidente del gruppo Kme di Vincenzo Manes (finanziatore della campagna elettorale di Renzi). Le ultime folate di vento sulla «Leopolda delle partecipazioni» alzate dalle dimissioni di Zingales, sono state precedute dal rumoroso ribaltone al vertice di Cassa Depositi e Prestiti. Accolto come un fulmine a ciel sereno dai fondi di investimento stranieri, privati e sovrani, che avrebbero manifestato chiaro disappunto per il blitz dirigista di Renzi. Soprattutto perché in precedenti contatti sarebbe stata garantita loro la stabilità dei vertici.

Oggi (o il 14 luglio in seconda convocazione) si riunisce l'assemblea di Cdp per il riassetto al vertice. Claudio Costamagna prenderà il posto del presidente Franco Bassanini che ha scritto una lunga lettera alle fondazioni azioniste e al cda per rimettere il suo mandato. Assicurando che «nessuna richiesta di acquisizione di quote di Telecom è stata rivolta dal governo a Cdp fino a oggi». Ma ricordando ai suoi successori gli steccati da non superare per non incappare nella violazione della normativa Ue sul divieto di aiuti di Stato illegittimi.

Il valzer delle poltrone, intanto, non smette di suonare. Nei palazzi romani si scommette su un ricambio al timone della Rai, con l'uscita di Luigi Gubitosi che potrebbe fare rotta sulle Fs avviate verso la quotazione in Borsa. Oggi il timone è affidato, da meno di un anno, a Michele Elia, manager considerato vicino all'ex numero uno Mauro Moretti passato in Finmeccanica che siede fra gli imputati al processo sulla strage di Viareggio del giugno 2009. Se cade Moretti viene giù anche Elia, sussurra qualche «gufo» romano.

Che dice di tenere d'occhio anche le Poste: oggi si riunirà il cda per il rinnovo dello statuto in vista della quotazione. E la colonizzazione renziana delle poltrone potrebbe presto travolgere anche Francesco Caio, chiamato dall'ex premier Letta.

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