Fmi richiama l'Italia: "Crescita troppo lenta". E Draghi deve agire

Necessario migliorare l'offerta di credito per avere un impatto del 2% sul Pil. Eurozona a rischio deflazione, servono misure

Fmi richiama l'Italia: "Crescita troppo lenta". E Draghi deve agire

Come la Grecia. Anzi, peggio. Non esce bene l'Italia dal World Economic Outlook (Weo), l'analisi che il Fondo monetario internazionale scodella ogni anno con puntualità svizzera. Questione di Pil: con quello che, a torto o a ragione, è il benchmark con cui si misura il benessere di un Paese, non siamo messi bene. E già lo sapevamo, fiaccati come siamo da una recessione interminabile e dalle lunghe file di disoccupati. Così, eccoci condividere con Atene un rimbalzino dello 0,6% quest'anno, per poi crescere dell'1,1% nel 2015, quando però dalla Grecia arriverà quasi un ruggito (+2,9%). Meglio di Germania (+1,6%), Francia (+1,5%) e Spagna (+1%). Peggio della nostra penisola, solo Slovenia e Cipro.

Poco consolatorio. Soprattutto perché le stime dell'organismo guidato da Christine Lagarde sono meno rosee rispetto a quelle governative - Piazza Affari, infatti, non l'ha presa bene. Dopo aver abbandonato lunedì quota 22mila, il Ftse Mib ha accusato un calo dell'1,46% al termine di una giornata scandita da numerose sospensioni per eccesso di ribasso, dalla caduta dei titoli bancari e, nel complesso, dal nervosismo di tutti i mercati. Non è piaciuto il mantenimento dello status quo da parte della Banca del Giappone, spaventano le rinnovate tensioni sul fronte ucraino, crea qualche apprensione il via alla stagione delle trimestrali Usa. E poi c'è l'enigma Bce, difficile da decifrare dopo che i pompieri dell'Eurotower (da Weidmann a Constancio) hanno gettato acqua sul fuoco del quantitative easing. L'Fmi, comunque, non molla la presa, e anche nell'ultimo rapporto insiste sulla necessità di misure di stimolo, dal QE alla securization ma senza trascurare anche l'opzione di tassi negativi, per evitare il rischio di deflazione, «relativamente alto, e pari circa al 20%». Un'azione da compiere «prima che dopo», afferma Olivier Blanchard, capo economista del Fondo. Secondo cui, l'istituto di Francoforte sta giocando col fuoco: una prolungata bassa inflazione «non aiuterebbe la crescita economica e potrebbe impattare sull'aggiustamento nel Sud Europa che «non si può dare per scontato».

L'Italia è una sorta di sorvegliato speciale, verso cui si nutre preoccupazione «per il basso potenziale di crescita» e per l'alto livello di disoccupazione. La ricetta per invertire la tendenza è la solita: indispensabili sono le riforme, sia del mercato del lavoro che del settore pubblico. In particolare, l'Fmi sollecita la «definizione di un unico contratto di lavoro, meno tasse sul lavoro e una amministrazione pubblica più efficiente». C'è però un altro nodo, ed è quello che riguarda il credit crunch. Nell'arco di circa cinque anni, dall'inizio del 2008 al terzo trimestre del 2013, il peggioramento delle condizioni del credito ha portato a una riduzione del nostro Pil pari al 2,5%. Il problema non è però solo italiano.

«Ulteriori azioni per far ripartire il credito in Francia, Irlanda, Italia e Spagna potrebbero far aumentare il Pil del 2% o oltre», si osserva infatti nell'analisi. Resta una controindicazione: una ripresa dell'offerta di credito «potrebbe essere non desiderabile dal punto di vista della stabilità finanziaria» per l'eccessivo indebitamento del settore bancario.

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