Cercare di far diventare Telecom, o qualsiasi altro gruppo, una public company può essere un «obiettivo meritorio», ma i fondi di investimento «non dovrebbero mai essere coinvolti nella governance». A parlare è Pietro Giuliani che, con la sua Azimut, rappresenta oggi il primo gruppo di risparmio gestito italiano indipendente dal sistema bancario. E che accetta di parlare del ruolo dei fondi nelle società quotate, dopo le polemiche di questi giorni.
Oggi Assogestioni corre per quasi tutti i rinnovi dei cda.
«Secondo me non dovrebbe più presentare alcuna lista, perché è improprio coinvolgere un asset manager nella vita di un'azienda».
Siniscalco ha lasciato la presidenza per evitare conflitti di interesse con Telecom.
«Basterebbe che Assogestioni smettesse di occuparsi di governance e richiamasse Siniscalco, che è stato un ottimo presidente».
I fondi attivisti stranieri sono stati però uno dei fattori che hanno favorito la fine dei patti di sindacato e quindi l'evoluzione del mercato.
«Sarebbe meglio non fossero stati attivisti. Dovrebbero dedicarsi solo a selezionare le realtà migliori su cui investire. Un fondo se non è d'accordo, vende».
La finanza guarderà ai propri difetti anche senza un pungolo?
«L'industria del risparmio ha perso soldi su Telecom mentre non ha mai realmente investito su titoli come Azimut, malgrado faccia parte dell'FtseMib e che il prossimo anno compirà dieci anni dalla quotazione, con una perfomance del 400%. Questo avviene perché la maggior parte degli operatori del nostro Paese obbedisce a logiche molto legate ai campanili».
Il vizio è il fatto che a dominare è un sistema bancario che ha come soci le Fondazioni animate dalla politica?
«Tutti gli investitori italiani, a differenza di inglesi e americani, soprattutto quelli istituzionali, peccano di provincialismo. In Piazza Affari regna una logica da pollaio, tutti sanno quello che fa il vicino e si muovono in gruppo per evitare di cadere in errori isolati».
Cosa pensa del tentativo di cambiare la legge dell'Opa?
«Le norme vanno scritte riflettendoci bene, per non doverle poi cambiare troppo spesso. Perché questo genera solo incertezza e costi per tutti».
Torniamo a Telecom, condivide l'obiettivo di mantenere in Italia una infrastruttura strategica come la rete?
«Le porte vanno chiuse per tempo. Non si può creare una azienda poco competitiva e poi quando c'è un estero che compra, accorgersi che era strategica. E lo stesso vale per Alitalia».
L'indebolimento dei salotti buoni, renderà il capitalisti italiani più solidi?
«La situazione sarà migliore solo quando si verificheranno queste due condizioni. Gli italiani rinunceranno allo loro mentalità obsoleta rispetto al posto fisso e alla retribuzione. Imprenditori e manager saranno pronti ad assumersi rischi, anziché fare politica per acquisire beneremenze nelle stanze dove si decidono aiuti e nomine. In Italia tutti vogliono incentivi fiscali, ma non ha senso».
La nostra Borsa però resta uno stagno, con un peso ininfluente sul pil.
«Il mercato riflette la situazione del Paese. Le aziende che vanno bene possono, tuttavia, fungere da stimolo e si può creare un sistema finanziario più efficiente, facilitando così l'avvicinarsi al listino delle pmi».
Da qui il progetto Libera Impresa per le start up.
«Azimut ha 500 milioni di cassa da investire, invece di sedersi in un salotto finanziario comprandone i diritti di accesso, ha inaugurato un nuovo canale diretto tra risparmio e impresa, sperando che questo serva da esempio. È inutile che i padri si lamentano che i figli non trovano lavoro, ma tengono i risparmi al sicuro in banca o nei Btp».
E i mini-bond?
«Sono un altro pezzo del mosaico, per facilitare il credito».
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