Con la fusione tra Fs e Anas deraglia il dividendo allo Stato

La cedola si è dimezzata a 150 milioni per la «mina» delle svalutazioni portate in dote dall'ente delle strade

Con la fusione tra Fs e Anas  deraglia il dividendo allo Stato

Le Fs hanno staccato un assegno da 150 milioni come dividendo per l'azionista di controllo, ovvero il Tesoro. Che si è però dovuto accontentare di metà dei 300 milioni arrivati l'anno scorso.

A far salire l'ultima cedola aveva contribuito «la distribuzione della partita straordinaria della vendita di Grandi Stazioni Retail», si è giustificato l'ad Renato Mazzoncini sottolineando anche «l'ingente programma di investimenti previsto dal piano industriale 2017-2026». Tradotto: offriamo ai soci un dividendo più basso per avere più liquidità da investire. A pesare sarebbe, in realtà, la dote portata dall'Anas davanti all'altare delle nozze con Fs celebrate a dicembre 2017. Qualche mese fa sono infatti cominciate a circolare indiscrezioni su una presunta mancata svalutazione di circa 2 miliardi del patrimonio non ammortizzabile dell'ente nazionale per le strade. «Nessun buco, la tematica dei due miliardi è esclusivamente di tipo contabile legata alla definizione se alcuni asset all'interno di Anas sono di proprietà o meno. Non stiamo parlando di soldi veri che entrano è escono dalle casse di Anas e quindi di Fs», ha spiegato lo scorso 26 marzo Mazzoncini. Che avrebbe comunque scritto una lettera al Tesoro e al ministero dei Trasporti per sottolineare che proprio l'effettivo valore della dote Anas può impattare sugli accantonamenti delle Fs e dunque sul patrimonio netto del gruppo post fusione riflettendosi nell'impossibilità per le Ferrovie di garantire dividendi al Mef già in sede di destinazione dell'utile 2017. A meno che, per decreto, non si fosse trovata una soluzione per valorizzare gli stessi asset 2 miliardi in vista della scadenza della concessione statale nel 2032, una sorta di buonuscita a compenso degli investimenti eseguiti e non ammortizzati. Questo prima dell'assemblea del 17 aprile che ha poi distribuito la cedola (anche se più magra) allo Stato: su un risultato netto di 231 milioni di Fs, 80 sono stati accantonati e 150 sono andati al Tesoro. Sebbene la questione non sia stata ancora risolta, complice l'assenza di un governo. Il problema contabile del matrimonio Fs-Anas avvenuto a fine 2017 sembra dunque essere spostato all'anno prossimo quando verrà approvato il bilancio 2018, al contrario di quanto ipotizzato dall'ad nella missiva ai ministeri. E quegli 80 milioni accantonati nell'esercizio 2017 potrebbero aumentare se ci saranno sorprese.

A gestire la partita sarà comunque lo stesso Mazzoncini che a dicembre, contestualmente al via libera dei soci all'incorporazione di Anas, è stato riconfermato con un blitz al timone dell'azienda. Il cda di Fs aveva la sua scadenza naturale con l'approvazione del bilancio 2017 poi avvenuta nell'assemblea del 17 aprile. Il rinnovo delle poltrone sarebbe quindi spettato ai nuovi inquilini di Palazzo Chigi. Invece tra Natale e Capodanno i soci, oltre ad approvare la fusione hanno anche rinnovato il cda (ufficialmente per permettere l'ingresso di due rappresentanti di Anas al posto di due delle Fs). Non solo.

Le Ferrovie sono di proprietà del Tesoro ma emettono strumenti finanziari quotati diversi dalle azioni (bond), rientrando così nelle eccezioni del tetto salariale di 240mila euro imposto ai dirigenti pubblici. Come quelli di Anas che, però, dopo le nozze con Fs sono usciti dal perimetro della pubblica amministrazione. E potrebbero quindi alzarsi lo stipendio.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica