Acque agitate alle Generali: la Consob chiede chiarimenti e Moody's minaccia il taglio del rating. Il tutto mentre decolla il passaggio del 4,5% dalla Banca d'Italia al fondo Fsi della Cdp: ieri il consiglio superiore della Banca d'Italia ha approvato la proposta del direttorio riguardante la partecipazione in Generali e oggi toccherà alla Cassa. Sullo sfondo cresce la tensione tra alcuni dei grandi soci, in particolare tra quelli più vicini a Mediobanca (primo azionista con il 13,4%) e il gruppo dei veneti, raccolti intorno a Roberto Meneguzzo tramite le società Ferak ed Effeti (per un totale del 4%). In primavera andrà rinnovato il cda, ma sembra evidente che gli equilibri che lo rifletteranno saranno diversi da quelli attuali, per i quali tutti i grandi soci si erano accordati con Mediobanca per la lista di maggioranza.
A conferma che il momento è delicato ieri arrivata la richiesta Consob di informazioni sull'analisi voluta dal nuovo ad Mario Greco sul portafoglio investimenti e sui rapporti tra parti correlate con i grandi soci. Con almeno due giorni di ritardo rispetto alle prime indiscrezioni del Corriere della Sera (partecipato da molti degli stessi grandi soci della compagnia, a cominciare da Mediobanca) e rispetto a quanto discusso e non comunicato al mercato nel cda di venerdì scorso, la Commissione ha chiesto lumi e la società ha confermato l'esistenza delle «valutazioni aggiornate di alcuni investimenti in private equity e fondi alternativi per avviare la verifica della valorizzazione degli asset e l'analisi della governance attuale del processo di investimento». Quindi tutto il portafoglio è sotto esame.
In realtà le notizie diffuse finora hanno tirato in ballo solo Meneguzzo e il gruppo Palladio, aumentando la tensione già esistente con Mediobanca in seguito al caso Fonsai. Per questo ieri Meneguzzo sarebbe passato al contrattacco, scrivendo al Corriere, ma anche avviando un'azione legale per diffamazione. Peraltro dall'analisi di Greco è emerso che gli «impatti economici e finanziari, oggi non precisamente determinabili, non sono tali da incidere significativamente sul patrimonio aziendale», dicono le Generali alla Consob. In particolare, la parte riguardante il cosiddetto gruppo dei veneti, ammonterebbe nel giro di sei anni a una ventina di milioni. Tanto che, da parte del gruppo triestino, si esclude che l'analisi interna possa portare a denunce alla magistratura o a richieste di azioni di responsabilità per il precedente ad, Giovanni Perissinotto: di certo non è questo il clima che si respira a Trieste.
Diverso è quello a Milano, dove la rottura di Mediobanca con i veneti sembra vicina. E la si potrà misurare dentro a Effeti, la società mista tra Ferak (gruppo veneto) e Fondazione Crt (molto vicina a Fabrizio Palenzona, vicepresidente e uomo forte di Unicredit, a sua volta socio numero uno di Mediobanca), che detiene il 2,26% di Generali.
L'unico modo di sciogliere Effeti è la scissione proporzionale, che darebbe l'1,1% di Trieste ai due soci attuali: un'operazione che non toglierebbe Ferak di torno (resterebbe con circa il 3%) e che costerebbe a Crt una novantina di milioni: a tanto ammonta la svalutazione tra i 18 euro pagati nel 2010 e i 13 che vale ora il titolo Generali (mentre Ferak ha già fatto una svalutazione). Di sicuro per Mediobanca, di qui a primavera, diminuirà la presa su Generali: rispetto a tre anni fa il 4% del sistema Effeti-Ferak è in subbuglio; l'1% di Fonsai non c'è più (è stato venduto una settimana fa a controparti di mercato); e il 4,5% di Bankitalia, che dai tempi di Enrico Cuccia veniva gestito in piena condivisione, entra nelle mani di Cdp; e la stessa Mediobanca dovrà cedere qualcosa del suo attuale 13,4 per cento.
Infine Moody's: ieri l'agenzia di rating ha messo sotto osservazione il debito della compagnia, in vista di un possibile downgrade dall'attuale rating «baa2». La decisione segue l'annunciata riorganizzazione delle attività in Italia. Non è, invece, a rischio il rating sull'«Iifsr», che misura la forza finanziaria della compagnia e che rimane «baa1».
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