Generali, Mediobanca allenta la presa

Generali, Mediobanca allenta la presa

I giochi sono fatti: l’applicazione dell’art 36 del decreto «Salva Italia» sul divieto dei doppi incarichi nei cda di società concorrenti ha prodotto i risultati principali. In particolare, cambia la composizione dei due board più pesanti della finanza nazionale: quelli di Mediobanca e Generali. Dalla prima escono e Vincent Bolloré e Fabrizio Palenzona, che scelgono di restare rispettivamente in Generali e Unicredit, dove entrambi sono vicepresidenti. L’altro ieri la stessa scelta aveva fatto Ennio Doris, optando per restare alla guida della sua Mediolanum. Il cda di Mediobanca del 9 maggio si dedicherà alla sostituzione dei tre pesi massimi per cooptazione di uomini di fiducia o manager espressi dai loro stessi gruppi. Mancano le decisioni di altri tre «incompatibili»: Jonella Ligresti è stata confermata in Fonsai e dunque lascerà Mediobanca. Mentre Angelo Casò e Fabio Roversi Monaco è prevedibile che optino per la banca rispetto a Milano Assicurazioni e Toro.
In ogni caso, né i francesi di Bolloré, né Unicredit (primo socio di Mediobanca) né il mondo Fininvest-Mediolanum perdono per questo presa su Mediobanca: gli stessi rappresentanti che oggi lasciano il cda restano saldi sul proprio scranno nel patto di sindacato, che controlla il 55% del capitale di Mediobanca e che non è toccato dall’articolo 36.
Specularmente, lasciano il cda delle Generali l’ad di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel (vicepresidente a Trieste), e il dg Saverio Vinci, che hanno scelto Mediobanca e che hanno rinunciato al ricorso che sarebbe stato possibile solo a condizione di dimostrare che la banca d’affari milanese, con il suo 13% del Leone, esercita un controllo di fatto sulla compagnia. Il che, essendo stato negato in tante altre passate occasioni di fronte al mercato e alle Authority, non poteva improvvisamente diventare diverso. Anche per le Generali, in un imminente cda (quello dell’11 maggio), arriveranno i nuovi uomini di Mediobanca (dovrebbero essere Clemente Rebecchini, manager delle partecipazioni, e un «esterno»).
In ogni caso, per Trieste qualcosa cambierà. I rapporti con Mediobanca, che dopo la cacciata di Vincenzo Maranghi del 2003 si erano fatti più stretti (fino ad allora nel cda sedeva solo il presidente, dal 2004 è entrato anche l’ad), tornano ad allentarsi. Si parte dal peso specifico dei membri in cda, ma il punto di arrivo sarà la discesa dal capitale. Non una cosa di breve periodo, ma un percorso in parallelo con le norme di Basilea 3, che dal 2014 al 2020 impongono una minor concentrazione degli investimenti rispetto al patrimonio. In sintonia, peraltro, con l’idea di Nagel di sviluppare i banking business e ridurre l’esposizione a equity. Che poi tra il dire e il fare ci sia molta strada da compiere, sta nelle cose, visto che la modifica dell’assetto di Generali non è cosa semplice, e gli assetti di potere contano per Mediobanca tanto, se non di più rispetto a quelli di business. Ma la strada sembra segnata e quello di ieri, ancorché forzato dal governo Monti, è il primo passo in questa direzione.
A Trieste dopo il passo indietro di Nagel i vicepresidenti da tre scendono così a due, Bolloré e Francesco Gaetano Caltagirone.

Quest’ultimo - viene sottolineato dopo ipotesi di stampa - non ha incarichi in cda di Sgr, quindi per lui il problema degli incroci non si pone. Quanto poi alla posizione di Lorenzo Pellicioli, consigliere del gruppo assicurativo e presidente di Dea Capital, secondo un portavoce del gruppo De Agostini, l’incompatibilità non sussiste.

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