È giallo sulla sterlina: prima affonda e poi risale

Le ipotesi: errore umano o vendite automatiche Male il lavoro negli Usa. Mosca «molla» l'Opec

È giallo sulla sterlina: prima affonda e poi risale

Lo chiamano flash crash, una picchiata verticale e improvvisa delle quotazioni. È quanto accaduto ieri alla sterlina poco dopo mezzanotte in Asia: un crollo del 6% in appena due minuti nei confronti del dollaro, a quota 1,1840 dagli 1,2609 dell'apertura, seguito altrettanto rapidamente da un recupero sopra 1,24. Movimento del tutto anomalo, certo poco giustificabile con l'indebolimento che il pound sta subendo da quando la gestione della Brexit è apparsa più problematica del previsto dopo le dichiarazioni del premier britannico, Theresa May, contraria a qualsiasi compromesso con l'Unione europea.

Le cause del temporaneo avvitamento non sono del tutto chiare. La Banca d'Inghilterra ha subito acceso un faro, anche se gli uomini del governatore Mark Carney qualche sospetto ce l'hanno. «Molto probabilmente - ha spiegato un portavoce della BoE - si è trattato di un crollo lampo scatenato dagli ordini automatici degli operatori, scattati in una fase di inizio scambi». Circolano però altre ipotesi, a cominciare da quella di un errore umano, come peraltro già successo in passato. Un fenomeno ribattezzato fat finger, cioè dita grasse, per l'errata digitazione nel 2010 di un ordine su Procter&Gamble da parte di un trader che scambiò miliardi con milioni provocando il collasso del titolo (-37%) e dell'indice di Wall Street in seguito alle vendite scattate automaticamente. Nonostante i paletti imposti subito dopo dalla Sec (la Consob Usa), a causa dell'high frequency trading (appunto le vendite automatiche gestite da software) il rischio di un flash crash non è stato del tutto eliminato.

Aldilà delle motivazioni, che forse non saranno mai chiarite completamente, una cosa è certa: anche in questo caso la sterlina ha mostrato la sua debolezza recuperando in chiusura (1,2434 dollari) non tanto quanto aveva perso. Quello che conta nell'andamento di questi giorni, commenta Vasileios Gkionakis, global head of FX Strategy di Unicredit Research, «è che gli investitori sono preoccupati non solo per l'accesso della Gran Bretagna al mercato unico ma, più in generale, per la visione del Paese sull'immigrazione, per l'apertura al business».

Un elemento ulteriore di incertezza per i mercati, costretti a decifrare le prossime mosse in materia di tassi della Federal Reserve e dell'Opec sul petrolio.

Nonostante il deludente dato di settembre sui nuovi posti di lavoro creati (156mila rispetto ai 171mila previsti dagli analisti, con la disoccupazione salita dal 4,9% al 5%), governatore della Fed di Cleveland Loretta Mester, ha sostenuto che una stretta «avrebbe senso». La Russia si è intanto sganciata dall'intesa sul taglio della produzione provocando un calo di quasi il 2% del Wti, a 49,5 dollari, e del Brent, a 51,5.

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