Il Giappone fa il pieno dei nostri Btp

Rendimenti sul 10 anni ai minimi, ma Italia appetibile in un mondo di tassi negativi

Il Giappone fa il pieno dei nostri Btp

Giusto tre anni fa, quando l'Italia stava ormai smaltendo l'ubriacatura tossica provocata dalla crisi del debito sovrano, i Btp a 10 anni rendevano ancora il 4,5%. Ieri i tassi sono scivolati al minimo storico dell'1,10% ritoccando al ribasso il record del marzo 2015 (1,13%). È, naturalmente, una buona notizia per il Tesoro, da tempo impegnato ad allungare la vita media del debito (la cosiddetta duration, attualmente attorno ai 20 anni) grazie al progressivo flettersi della curva dei rendimenti.

Rendimenti che, seppur più sottili, presentano ancora una forza attrattiva in un mondo dominato dai tassi negativi. Non a caso, il Giappone sta facendo il pieno dei nostri titoli. Impegnato da anni in una lotta contro recessione e deflazione, il Paese del Sol levante sta usando tutti i mezzi - economici e monetari - per venirne a capo. Ma ciò ha provocato una forte compressione degli yeld (-0,08% il decennale) che ha costretto i grandi investitori a guardare altrove. L'Italia è stata tra le scelte privilegiate, anche in considerazione dei bassi costi di copertura dell'euro rispetto al dollaro. Il Government Pension Investment Fund, la più grande cassa previdenziale al mondo, aveva in pancia al 31 marzo 2015 (l'ultima data resa disponibile) bond tricolori per 1.568 miliardi di yen (13,8 miliardi di euro). Ma il trend è proseguito anche quest'anno, con circa 2 miliardi di euro di debito italiano acquistato in aprile dai nipponici.

Più che ai progressi realizzati in termini di stabilità politico-economica e in tema di riforme strutturali, cioè gli elementi che più di tutti concorrono ad abbassare il rischio-Paese, l'appeal dell'Italia è dato anche dalla volatilità dei mercati azionari che comporta assunzioni di rischio eccessive per chi deve avere una gestione prudente delle masse patrimoniali. Soprattutto se la caccia al rendimento sul mercato dei government è diventata impresa complicata. Sempre che non si scelga l'azzardo. L'omologo turco del nostro Btp a 10 anni assicura un ricco 9,5% circa, ma il Paese è stato da poco teatro di un (fallito) colpo di Stato che ha messo a nudo una situazione poco favorevole per la stabilità degli investimenti.

Il generale assottigliamento dei rendimenti lascia del resto poche alternative. E, essendo indissolubilmente legata all'azione della Bce, la tendenza non si invertirà nel breve periodo. Vincendo le resistenze tedesche, Mario Draghi ha non solo appiattito i tassi-chiave (allo 0,25%) e fatto scendere sotto lo zero quelli sui depositi presso l'Eurotower, ma ha soprattutto cambiato faccia al mercato monetario con il varo di quel quantitative easing con cui l'istituto di Francoforte ha cominciato ad acquistare ogni mese, a partire dalla primavera dello scorso anno, 60 miliardi di euro (poi diventati 80) di titoli di Stato (e anche privati). Se da un lato gli interventi della banca centrale hanno chiuso le ostilità sugli spread, dall'altro hanno provocato questa situazione: una stima recente di Tradeweb collocava quasi al 47% le emissioni di bond governativi dell'eurozona con tassi negativi (alle quali vanno aggiunte anche quelle svizzere). Una percentuale elevata che ha esposto l'ex governatore di Bankitalia all'accusa di aver creato un mostro, rendendo la vita impossibile a chi, come per esempio i fondi pensione e le compagnie di assicurazione, deve assicurare rendimenti dignitosi ai propri sottoscrittori.

Ma è anche vero che un Bund, un Oats francese o qualsiasi titolo sottozero lo si può rivendere prima della scadenza, incassando la probabile plusvalenza sul prezzo di acquisto. Resa possibile proprio dallo shopping della Bce.

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