Huawei, Trump conta i danni e cede

Per i big tech Usa un conto fino a 53 miliardi. E pesa la minaccia sulle terre rare

Huawei, Trump conta i danni e cede

Questa volta, Caterpillar Donald ha fatto male i conti. Dopo aver trattato Huawei con la grazia del classico elefante nella cristalleria, Trump ha compiuto un clamoroso dietrofront: il bando che impedisce al colosso cinese delle tlc di acquistare parti e componenti da società statunitensi non sarà attuato prima di 90 giorni, fino al prossimo 19 agosto. Il contrordine arriva a neppure una settimana di distanza dall'inserimento del gruppo fondato da Ren Zhengfwei nella lista nera commerciale Usa, ma pochi giorni sono bastati alla Casa Bianca per rendersi conto di aver commesso un errore capitale.

Costato, per esempio, nella seduta di lunedì, il più grande calo mensile a Wall Street dell'indice dei semiconduttori, il settore più esposto al ban nei confronti di Huawei. Uno schiacciamento verso il basso reso ancora più doloroso dal volo spiccato dai titoli delle terre rare, i componenti indispensabili per la tecnologia degli smartphone. China Northern Rare Earth, Shenghe Resources, China Minmetals Rare Earth e JL MAG Rare-Earth si sono spinti ieri a Shangai in alto del 10%, il rialzo massimo consentito, mentre a Hong Kong, dove non ci sono restrizioni, China Rare Earth Holdings è salito addirittura del 132%. È la reazione ai timori che Pechino, dopo la visita dell'altro ieri allo stabilimento della JL Mag del presidente Xi Jinping, possa disporre il divieto di export delle terre rare. Per l'America sarebbe un danno enorme, visto che dipende dal Dragone per circa l'80% delle sue importazioni di terre rare. Non a caso, Washington ha tenuto lantanio, terio, prasedonio, neodimio, europio, gadolinio, disprosio, cioè alcuni dei 15 materiali della famiglia delle terre rare, fuori dalla lista dei dazi per 300 miliardi di dollari che potrebbe colpire prossimamente prodotti cinesi esportati negli Usa.

Ma a far recedere il tycoon dai suoi propositi bellicosi nei confronti di Huawei potrebbe aver contribuito anche la stima della Information Technology and Innovation Foundation (Itif), un think tank con sede a Washington, secondo la quale le aziende Usa potrebbero perdere tra 14,1 e 56,3 miliardi di dollari in mancate esportazioni nell'arco dei prossimi cinque anni. Non solo: a rischio ci sarebbero tra 18mila e 74mila posti di lavoro nel settore tecnologico. Per Trump, un colpo potenzialmente mortale in chiave elettorale per le possibili ricadute sulla crescita economica e sulla fiducia degli americani. Fed....?

D'altra parte, la Casa Bianca deve aver preso pure atto che il colosso orientale leader nel 5G aveva per tempo adottato le necessarie contromisure per far fronte all'impossibilità di rifornirsi dalle corporation statunitensi. «Huawei ha scorte di chip e non rimarrà isolata», ha detto Ren Zhengfei a conferma delle voci già circolate nei giorni scorsi. Poi, la chiosa velenosa: «Gli Usa hanno sottovalutato la nostra forza».

La tregua concessa da Trump non ha cambiato i piani del gruppo: in vista di una possibile fine degli aggiornamenti Android sui suoi smartphone, Huawei potrebbe essere tentata di offrire un sistema operativo proprio in competizione con quelli di Google e Apple.

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