Coronavirus

I big dei cieli in allarme: ogni aereo a terra brucia 4 milioni al mese

Alla perdita si sommano costi di parcheggio e manutenzione. Ma Alitalia "soffre" di meno

I big dei cieli in allarme: ogni aereo a terra brucia 4 milioni al mese

In questo momento, nel mondo, almeno 20mila aerei commerciali sono lasciati, come si dice, «a prato», cioè inattivi. La flotta globale precedente al virus, 30mila velivoli, è decimata: le compagnie europee hanno rinunciato all'80- 90% dei loro voli, continuano ad avere una certa attività quelle asiatiche e del Nord America. I circa 200mila voli al giorno ante-virus sono diventati meno di 40mila; la Iata ha aggiornato in 314 miliardi di dollari la perdita di ricavi nell'anno in corso, peggiore del 55% sul 2019.

Un aereo a terra è un costo elevato, innanzitutto, in termini di mancati ricavi: Antonio Bordoni, docente di Aviation alla Luiss, calcola questa cifra in 131mila euro al giorno - quindi quasi 4 milioni al mese -per i sei voli di un velivolo medio, 170 posti, per 129 euro di tariffa media senza tasse. Poi ci sono le spese connesse alla cura con cui va trattata una macchina di quella delicatezza e di quel valore (un doppio corridoio costa 200-300 milioni). La logica è la stessa che per un'automobile: se deve rimanere in garage tutto l'inverno, andrà protetta, staccata la batteria, tenuta sotto osservazione. Per un aereo è la stessa cosa, al massimo livello tecnologico, tenendo poi anche conto che i leasing, per quanto ricontrattati, continuano a correre. Una stima è necessariamente approssimativa, secondo dimensioni, servizi, durata del fermo; non esistono tariffari, ma sicuramente i costi non sono inferiori ai 2mila dollari al mese per il solo parcheggio nudo e crudo. Stando a queste cifre, per una compagnia come Lufthansa, che ha messo a terra 700 aerei su 760, si tratterebbe di 1,4 milioni. Ci sono una grande quantità di azioni da compiere secondo che l'aereo sia fermo per poco o molto tempo, e Air France ha stimato in 18 mesi il periodo per tornare a una qualche normalità. Per i parcheggi prolungati la si chiama «imbalsamatura»: vengono drenati i vari fluidi, sigillate le prese d'aria del motore e delle aree di scarico, protetti strumenti esterni come i tubi di Pitot, elementi che comunicano i dati al computer di bordo: essenziali. Bordoni ricorda che nel 1996 precipitò un B757 della Birgen Air da Puerto Plata a Francoforte, provocando la morte di 189 persone, solo perchè nei 25 giorni di fermo nella Repubblica Dominicana, nei tubi di Pitot, che non erano stati protetti, avevano nidificato degli insetti, le vespe muratore, che avevano alterato la trasmissione dei dati. Ancora: le ruote vengono appoggiate su materiali appositi per evitare deformazioni, le vernici vengono protette con prodotti anticorrosivi, i sedili sono coperti, gli oblò oscurati, tutti i comandi immobilizzati. Se invece l'aereo è fermo per tempi brevi, comunque il motore va avviato una volta alla settimana per un quarto d'ora e tutti gli organi di cui si compone vengono tenuti sotto stretta osservazione dai tecnici.

Ma dove sono i 20mila aerei inutilizzati? Da tutto il mondo vengono portati a riposare in Arizona, New Mexico, California, dove, grazie al favorevole clima secco, esistono campi capaci di ospitarne migliaia. Qualche volta vengono dismessi durante la lunga sosta, e in quel caso vengono smontati sul posto. I costi sono elevati, secondo la gamma di servizi richiesti. In Europa le grandi compagnie utilizzano i propri hub, anche occupando le piste, oppure aeroporti militari.

Interessante il caso di Alitalia, la compagnia guidata dal commissario Giuseppe Leogrande. Grazie alle sue dimensioni (113 aerei) fa fronte all'attività ridotta dell'80-85% facendo ruotare quasi l'intera flotta, anche di lungo raggio, evitando così i costi di fermo straordinario.

Poichè, in base alle norme sul distanziamento personale, la capacità degli aerei è ridotta del 30-50%, quando necessario la maggior domanda viene soddisfatta con aerei a lungo raggio anche per tratte nazionali.

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