Eni e Tenaris tra le migliori, con Saras in altalena, e Saipem esclusa eccellente. Con il rialzo del prezzo del petrolio alcune delle società italiane del settore oil sono pronte a riprendersi una parte dei risultati persi negli ultimi anni con la crisi che si è mangiata milioni di investimenti, e di utili.
Il 2018 è partito in rialzo e l'oro nero ha superato quota 65 dollari (il barile Wti venerdì ha chiuso a 65,1 a New York mentre il Brent a 68,2 dollari). Un trend che secondo gli analisti - da Equita a Banca Imi passando per Intermonte- sarà confermato nei prossimi mesi fino a raggiungere, nel 2019, stabilmente quota 70 dollari. Un miraggio per le industrie del settore che, negli ultimi anni, hanno dovuto rivedere piani industriali e stime (al ribasso) per fronteggiare il mini greggio sotto 30 dollari. Solo un ricordo, ormai, visto che i fondamentali del petrolio dovrebbero essere supportati dal prolungamento dei tagli alla produzione di Opec e Russia, beneficiando in parallelo dell'inattesa debolezza del dollaro. Non manca chi, come Goldman Sachs e Blackstone, proietta il greggio fino a 80 dollari al barile, ma un approccio più prudente è condiviso anche dall'ad di Eni, Claudio Descalzi, secondo cui, «l'ipotesi di un ulteriore rally è poco probabile» e dopo una punta a 70 dollari già nei prossimi due mesi, «sull'intero anno il prezzo del greggio dovrebbe attestarsi tra 60 e 65 dollari».
In ogni caso Eni beneficerà di questa «ripresina», raggiungendo «gli obiettivi di piano e migliorando la remunerazione per gli azionisti», spiega Equita Sim puntando sul Cane a sei zampe come società che potrà fare meglio dei concorrenti «poiché ha una maggiore esposizione» nell'attività di esplorazione e un minor indebitamento. E rivedendo dunque al rialzo le stime sull'utile per azione nell'ordine del 5%. In questo contesto Eni, che costruito il suo piano industriale sulla base di un prezzo del greggio a 50 dollari, è quindi ben posizionata per rivedere al rialzo gli obiettivi.
Anche la Tenaris della famiglia Rocca dovrebbe beneficiare del rally petrolifero visto che opera in aree attese in crescita quali Argentina, Messico e nello shale oil americano. Piace inoltre la solida struttura finanziaria, l'impegno nell'attività offshore e la generazione di cassa.
Diverso il discorso per Saipem, per cui il recupero del greggio non sarà ancora d'aiuto sul fronte industriale. E per Saras, alle prese con i margini di raffinazione. Per quanto riguarda la società partecipata dalla Cdp e guidata da Stefano Cao, dopo il rafforzamento della struttura finanziaria e un modello di business più efficiente, l'apprezzamento del petrolio rende più probabile un recupero del business offshore (oltre il 65% dell'ebitda di Saipem). Tuttavia, la tempistica resta incerta e il contesto sfidante. Per Saipem che opera con le major di settore come società di servizio il recupero del greggio dovrebbe tradursi in maggiori ordini, ma non ci sono ancora certezze.
Così, al momento, la sim milanese ha ridotto la stima di raccolta ordini nel settore dell'ingegneria e costruzioni a 6,35 miliardi (da 7,25 miliardi) nel 2017 e rivisto le stime 2018-2020 del 4% per il fatturato e del 12% a livello di l'utile per azione (eps). Infine, per quanto riguarda la Saras di Massimo Moratti, lo scenario sulla raffinazione nel medio termine rimane favorevole grazie al miglioramento della dinamica domanda-offerta. Inoltre, il titolo beneficerà dell'introduzione della modifica degli standard di raffinazione dell'Organizzazione Marittima Internazionale sui combustibili navali.
Tuttavia, i margini di raffinazione sono deboli proprio a causa del forte prezzo del greggio (che nel caso di Saras gioca a sfavore) e al livello record di lavorazioni. La società potrebbe dunque andare incontro a un 2018 con risultati alterni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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