I conti sbagliati di Delrio sui Bot della vecchietta

Altro che "25-30 euro": l’aumento delle tasse sui titoli di Stato costerebbe ai risparmiatori dieci volte di più

I conti sbagliati di Delrio sui Bot della vecchietta

Alla sua prima uscita Gra­ziano Delrio, il braccio destro di Matteo Renzi, l’uomo che da sottosegretario alla Presidenza dovrà limare le conflittualità interne alla mag­gioranza, fa il primo scivolone. Ospite da Lucia Annunziata an­nuncia un possibile inaspri­mento della tassazione sui tito­li di Stato, da adeguare alle me­die europee ( quindi con un au­mento dal 12,5% attuale al 20%), costringendo Palazzo Chigi alla prima smentita a 24 ore dal giuramento. Un vero re­cord. Un infortunio «politico», con­siderato che Delrio dovrebbe incarnare un profilo di back­of­fice , come fece a lungo e con pro­verbiale discrezione Gianni Letta nell’esecutivo Berlusco­ni, ma anche «matematico». Se­condo l’ex sindaco di Reggio Emilia «se a un’anziana con 100mila euro togli 25 o 30 euro non avrà certo problemi di salu­te ». Peccato che il suo calcolo sia per difetto di circa 10 volte. Vediamo alcuni esempi. Pren­diamo 100mila euro di Btp a sca­denza medio-lunga, 2021, con un rendimento del 3,75%. Su di essi il risparmiatore incassa 3.750 euro lordi annui di inte­ressi. Con l’attuale tassazione al 12,5%, il risparmiatore paga oggi 468 euro di tasse. Se l’ali­quota passasse al 20% l’inaspri­mento non sarebbe certo di «25 o 30 euro». Si pagherebbero, in­fatti, 750 euro di tasse, quindi 282 euro in più ogni anno. In pratica dieci volte più di quan­to sostiene Delrio.

Analogo calcolo si può fare, mantenendo la base dei 100mi­la euro, su titoli diversi con scadenze più ravvi­cinate. Sui Bot a 1 anno all’ 1%, il rendimento lordo è di 1.000 euro. Se attualmente finisco­no nella tasche del ri­sparmiatore 875 euro, con la «tassa Delrio» l’introito scenderebbe a 800. Spostandoci sui 5 anni con un tasso del 3,25%, il risparmiatore vedrebbe passare il proprio ren­dimento- al lordo di 3.250 euro - da 2.844 a 2.600 euro. Insom­ma 244 euro di differenza. Sen­za contare che a quella cifra bi­sogna sottrarre oltre al 12,5% di tasse, l’imposta di bollo del 2x1000 sull’intero importo più le spese. Se a questo aggiungia­mo l’inflazione si comprende che se la proposta andasse in porto ciò che resterebbe in ta­sca ai risparmiatori sarebbe po­ca cosa, riducendo fortemente l’ appeal dei nostri titoli di Sta­to.

Il provvedimento, inoltre, è discutibile anche in termini di resa. Un inasprimento dell’ali­quota­sui titoli di Stato colpireb­be solo una piccola parte di que­sti, quelli in mano alle famiglie, ovvero 174 miliardi su di un to­tale di 1.740 miliardi in circola­zione. Il 90% dei Bot, Cct e altri titoli di Stato è infatti detenuto da banche, assicurazioni e so­cietà finanziarie, tutti soggetti per i quali i redditi da capitale fi­niscono nell’imponibile fisca­le complessivo e che quindi so­no indifferenti (e sostanzial­mente immuni) alle variazioni dell’aliquota secca e alla tassa­zione diretta dei rendimenti. In­somma tassare i titoli portereb­be nelle casse dello Stato poco più di 400 milioni. E i grandi in­vestitori riuscirebbero a fuggi­re all’imposta. Una lettura con­fermata anche da Maria Canna­ta, dirigente generale del debi­to pubblico al ministero del­l’Economia. «Una eventuale modifica delle tassazioni sui ti­toli di Stato avrebbe effetti mo­desti per il gettito ».

Diverso il di­scorso se si guarda sul lato della domanda. «Il retail è sensibile su questi aspetti. Bisogna ricor­dare ch­e è stata anche aumenta­ta la tassa sul dossier titoli». Co­me dire, attenti perché un nuo­vo balzello potrebbe facilmen­te trasformarsi in un boome­rang.

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