I broker di Borsa la chiamano «spirale ribassista» che per i non addetti ai lavori può tradursi in «caduta libera». È quello che sta succedendo a Mps: il titolo dell'istituto di Rocca Salimbeni ieri lasciato sul terreno un altro 3,36% sprofondando a 2,78 euro. Solo nell'ultimo mese il calo è stato del 18,3 per cento.
Ma cosa è cambiato negli ultimi giorni per destabilizzare il titolo? Certo, l'uscita dal guado è lunga e complicata, come ha detto a più riprese lo stesso ad Marco Morelli. Il Monte è tornato in Piazza Affari lo scorso 25 ottobre a 4,55 euro ad azione, una cifra già inferiore ai 6,49 euro pagati dal Tesoro, azionista di controllo con quasi il 70%, per ricapitalizzare la banca ed evitarle il fallimento. Lo Stato ora fa i conti con una perdita potenziale (ovvero se dovesse vendere oggi) di oltre tre miliardi a fronte di un investimento complessivo di circa 5,4 miliardi. Negli accordi presi con l'Europa l'ultimo atto del salvataggio 2017 passa per una fusione che permetta al Tesoro di Pier Carlo Padoan - per altro eletto in quota Pd proprio nel collegio di Siena all'ultime elezioni - di uscire senza farsi troppo male. Ma più in Borsa il prezzo va giù, più sale il conto da pagare per il disturbo. Nelle sale operative si teme, inoltre, che la Bce possa alzare l'asticella di tagli e risparmi da chiedere alla banca senese che ha chiuso il bilancio dell'anno scorso con un rosso di 3,5 miliardi. E che quindi serva un altro aumento di capitale entro la fine dell'anno. Chi ci metterà i soldi? In quel caso andrà trovata o con una soluzione di mercato, ma di cavalieri bianchi al momento non se ne vedono, o «alla Santander» commenta un analista riferendosi al salvataggio «di sistema» in Spagna del Banco Popular arrivato a un passo dal bail in. Altre fonti finanziarie spiegano il crollo del titolo con la fuga del fondi stranieri, soprattutto di quelli speculativi come Carlson e Paulson (il manager che aveva costruito la posizione su Mps è rientrato nei tagli allo staff dell'hedge fund decisi la settimana scorsa) che si starebbero liberando delle azioni senesi. Il motivo non va cercato solo nello stato di salute del Montepaschi, ancora precario. Ma anche nel risultato delle ultime elezioni: l'eventuale alleanza fra Lega e Cinque Stelle vedrebbe al governo due forze politiche che vorrebbero Mps nazionalizzata, così il cda tornerebbe a parlare senese. Uno scenario che fa tremare i fondi contro i quali, per altro, i grillini si erano scagliati al tempo dell'approvazione del decreto sulla conversione dei bond subordinati. Preoccupati anche per l'effettiva mole dei cosiddetti Utp (unlikely to pay) ovvero i crediti per i quali la banca ritiene improbabile un rimborso integrale che possono poi diventare sofferenze.
In testa alle «principali svalutazioni cumulate relativi a titoli di capitale emessi da soggetti classificati tra le inadempienze probabili; si legge nel bilancio 2017, c'è la Sorgenia della famiglia De Benedetti (43,6 milioni) che compare anche in testa all'elenco delle principali svalutazioni effettuate nel corso dell'esercizio con (2,9 milioni).
Alla data di chiusura del bilancio il Monte ha 408 posizioni relative a creditori che hanno fatto domanda di concordato in «bianco» per un'esposizione netta di 242,4 milioni e 9 posizioni relative a creditori che hanno fatto ricorso all'istituto del concordato con continuità aziendale per un'esposizione netta di circa 3,4 milioni.
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