Via libera a Media for Europe con larga maggioranza da parte delle assemblee dei soci di Mediaset e Mediaset Espana. Nonostante i continui ricorsi in tribunale del socio Vivendi, il riassetto del gruppo è stato approvato con conseguente trasferimento della nuova società sotto il cappello della holding di diritto olandese. L'assemblea di Mediaset, alla quale ha partecipato il 62,58% del capitale, ha approvato il riassetto con il voto favorevole del 78,18% dei presenti, mentre il 21,07% ha votato contro.
In base al capitale presente, dal voto è emerso che il 48,9% (di cui Fininvest ha il 45,8%) ha sposato il progetto e il 13,9% (Vivendi al 9,9%) no. Ha votato a favore anche la maggioranza del capitale «neutrale» (fondi e altri soci): il 4,94% ha votato sì alla fusione, mentre solo il 3,7% è stato contrario. In Spagna la partita non era in forse. Ma in Italia, dove Fininvest ha il 45,89% dei diritti di voto, l'esito non era scontato. Tanto che se Vivendi avesse potuto votare con tutta la quota detenuta, pari al 29,9%, avrebbe potuto far saltare l'operazione per la quale era richiesta la maggioranza qualificata di due terzi del capitale presente in assemblea. Ma la società francese ha dovuto mettere il 19,9% dei suoi diritti in un trust, Simon Fiduciaria, dato che per la legge italiana è vietato disporre di quote di maggioranza in società media e di tlc (e Vivendi ha il 24% di Tim). E tale trust non può dunque votare. Il divieto è stato sancito sia dal cda di Mediaset che si è svolto prima dell'assemblea, sia dal tribunale, che, al contempo aveva però ammesso Vivendi al voto. Vivendi ha comunque definito «illegale» l'assemblea proprio a causa dell'esclusione di Simon Fiduciaria annunciando ulteriori azioni legali per annullare quanto deciso e minacciando gli azionisti di Mediaset di trascinare la società in gravi controversie. Per il presidente della società Fedele Confalonieri non solo Vivendi ha torto «ma stupisce che continui a diffondere notizie prive di fondamento con l'unico scopo di deprimere il titolo».
Vivendi questo sta facendo perchè l'unica arma per mandare a monte la fusione è quella di esercitare il diritto di recesso. Ma dato che, nonostante gli sforzi, anche ieri l'azione (+1,3%) ha chiuso sopra del prezzo fissato (a 2,82 euro contro i 2,77 del recesso) esercitare l'opzione non avrebbe senso. In ogni caso per Vivendi il recesso, che varrebbe 900 milioni, costerebbe una minusvalenza di almeno 300 milioni (i titoli sono in carico a 2,9, già svalutati). E ancora potrebbe non bastare visto che le azioni del recesso vanno offerte in opzione prima ai soci, poi al mercato e infine anche a Mediaset (per 280 milioni). L'operazione salta solo se, esercitate tutte le opzioni, dovesse rimanere una quota superiore ai 180 milioni (che è quanto Mediaset ha stanziato per il recesso). Quindi l'arma di Vivendi pare assai spuntata. I francesi hanno votato contro sostenendo che il riassetto proposto «non ha una logica finanziaria perchè le tasse e la contabilità continua ad essere tenuta in Italia e Spagna», e sopratutto «non tiene conto dei più elementari diritti degli azionisti e dei principi di governo societario, con l'unico obiettivo di favorire Fininvest, senza nemmeno riconoscere un premio alle minoranze».
Confalonieri ha ricordato che da questo progetto dipende il futuro della società «che vuole arrivare a cogliere l'obiettivo di creare un gruppo pan-europeo nel settore dell'intrattenimento e dei media». Il possibile recesso non preoccupa comunque l'ad di Mediaset , Pier Silvio Berlusconi. «Crediamo che Vivendi non abbia alcuna intenzione di recedere - ha detto- e siamo anche convinti che eventualmente ci saranno altri investitori pronti a entrare in campo».
Quanto ai conti più aggiornati del gruppo, per Stefano Sala, ad di Publitalia, la raccolta di settembre sta andando bene anche grazie alla rinnovata stabilità politica. E gli spazi della Champions sono già stati venduti.
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