«La Guerra dei Sette Anni è quella da cui sta uscendo l'economia italiana. Non una guerra tradizionale, ma una di queste guerre moderne, virtuali, in cui capannoni, uffici, posti di lavoro possono vaporizzarsi con il clic di un mouse». Usa una metafora il direttore generale della Banca d'Italia, Salvatore Rossi, per descrivere quanto patito dall'Italia durante l'interminabile periodo della crisi. Ma anche adesso che si respira un'aria nuova grazie al quantitative easing della Bce e a una congiunzione economica resa favorevole dal mini-euro e dal petrolio cheap, la risalita è dura e faticosa. Ammette Rossi: «Ci sono tutti i presupposti per ripartire», ma «la ripartenza è timorosa, va incoraggiata».
Non potrebbe essere altrimenti, con le macerie lasciate dalla recessione. Ferite profonde che il direttore di Bankitalia riassume sgranando il rosario dei danni: dal milione di posti di lavoro evaporato dal 2008 alla contrazione, pari al 17%, subita dall'industria; da una produzione scesa di quasi un decimo al crollo di oltre il 30% delle costruzioni di oltre il 30. Non sorprende quindi il «braccino» corto delle famiglie, la cui spesa si è prosciugata dell'8%, e quello delle imprese, che investono un terzo in meno rispetto al periodo antecedente il virus dei mutui subprime. Va ripristinata la fiducia, ingrediente essenziale per rilanciare l'occupazione e stimolare i consumi. Serve però anche un salto culturale, suggerisce il numero due di Via Nazionale, centrato sull'innovazione. Un salto cui negli anni passati si sono sottratte le piccole imprese, che hanno reagito «con lentezza all'opportunità di sfruttare le nuove tecnologie». Altro nodo da sciogliere è quello della formazione: «Il sistema universitario italiano - spiega Rossi - non produce capitale umano adeguato a un'economia moderna e avanzata; ma le imprese che dovrebbero domandarlo non sono quasi mai attrezzate, spesso perché troppo piccole, a riconoscerne i diversi gradi di qualità e ad assegnare loro il prezzo giusto».
Sulle prospettive economiche del nostro Paese si sofferma anche Fitch. E dall'agenzia di rating non arrivano buone notizie: se per l'eurozona è previsto un rafforzamento graduale della ripresa con un Pil in aumento dell'1,4% nel 2015 e dell'1,7% nel 2016 dopo il +0,9% del 2014, Italia e Francia restano indietro rispetto alla crescita media. Resta da vedere quanto il Qe di Draghi impatterà sulla penisola grazie anche al velocissimo deprezzamento dell'euro, destinato a continuare se la Federal Reserve deciderà di alzare i tassi entro l'estate.
La futura stretta già preoccupa Christine Lagarde, numero uno del Fmi: «Quando la Federal Reserve alzerà i tassi, c'è il rischio di una fuga (di capitali) dai mercati emergenti». Ovvero, di una riproposizione del fenomeno già visto nel maggio 2013, quando la Banca centrale Usa aveva cominciato a ventilare la «ritirata» dal quantitative easing .
Un motivo in più per la presidente Janet Yellen di soppesare con il bilancino del farmacista le decisioni che saranno
prese nella riunione di oggi. Se dal comunicato verrà cancellato il riferimento alla «pazienza», sarà il segnale che l'istituto di Washington è pronto ad alzare il costo del denaro entro un paio di riunioni, ovvero a giugno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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