«Ho fatto come Freire, ho vinto in volata». Per Giorgio Squinzi, bergamasco per natali e milanese di adozione (rappresenta il capoluogo nel Consiglio superiore di Bankitalia), il paragone ciclistico è obbligatorio. La sua Mapei, infatti, non è solo leader globali nei collanti per l’edilizia con un fatturato consolidato che nel 2010 ha superato il miliardo e mezzo di euro. Ma per gli appassionati delle due ruote è sinonimo di quella squadra che ha conquistato una Vuelta e un Giro con l’elvetico Tony Rominger.
L’ascesa alla poltrona più importante di Viale dell’Astronomia non è solo una conquista simbolica (dopo oltre 50 anni Milano torna a esprimere un presidente di Confindustria), ma è soprattutto il riconoscimento a un imprenditore che ha lavorato più con i fatti che con le parole.
Non solo nelle due presidenze di Federchimica (1997-2001 e 2005-2009), ma anche all’interno della sua stessa azienda. Da una parte ha concluso contratti a tempo di record coinvolgendo la Cgil e ottenendo la rinuncia agli scatti di anzianità in cambio di aumenti salariali non da poco (135 euro nel 2009). In Mapei si è sempre vantato di non aver mai fatto ricorso alla cassa integrazione.
Giorgio Squinzi «politico» è invece più difficilmente definibile. Durante la presidenza di Antonio D’Amato aveva mostrato grande sintonia con l’outsider che aveva osato affrontare la primazia Fiat nella scelta del presidente di Confindustria. Di qui una certa «sofferenza» (condivisa con la collega Diana Bracco) nel quadriennio montezemoliano, culminata con la difesa delle ragioni dei «contestatori» che durante il convegno di Vicenza nel 2006 appoggiarono l’intemerata di Silvio Berlusconi contro il silenzioso endorsement nei confronti di Romano Prodi.
«Noi non dobbiamo fare politica, non dobbiamo schierarci, ma dobbiamo dire quello che va bene e quello che non va bene», dichiarò all’epoca. E, fondamentalmente, questa è sempre stata la sua strada maestra. Di sicuro non amico dei governi di centrosinistra, è stato altrettanto misurato nei confronti di quelli di centrodestra. Apprezzandone le riforme condivisibili (pensioni e semplificazioni in primis), sostenendo il rigorismo tremontiano pur evidenziandone le mancanze nelle politiche di sostegno della crescita. Tanto da sembrare quasi montiano. «L’Italia ha bisogno di sobrietà e noi dobbiamo dare un chiaro esempio», ha scritto nelle lettere inviate a tutto il sistema in occasione della candidatura.
Lo scarso feeling con il «montezemolismo» è testimoniato anche dalla ferrea opposizione all’ingresso in Borsa del Sole 24 Ore, condivisa con il presidente Mediaset Fedele Confalonieri, oggi suo grande «sponsor». E anche dall’essere uno dei pochi a non essersi stracciato le vesti per l’uscita del Lingotto.
Con Marcegaglia c’è stata intesa tant’è vero che - in maniera irrituale - la presidentessa ha fatto campagna per Squinzi. La «continuità nel cambiamento» potrebbe essere la cifra della nuova presidenza: tenere a bada una rete di piccole e medie imprese con una testa che guarda alle grandi (ormai rappresentate dalle aziende ex-statali). Il programma del neo-presidente, pur non essendo ancora pubblicamente dichiarato, è noto da mesi. Si fonda su poche priorità: semplificazione, politica energetica, riduzione della pressione fiscale e accesso al credito. Di «articolo 18» non si parla, ma dovrà farlo.
Il migliore augurio che i colleghi possono rivolgere a Squinzi è quello di avere da presidente lo stesso successo ottenuto non solo con Mapei, ma con il piccolo Sassuolo, portato dai dilettanti alla testa della serie B sempre con la scritta Mapei sulla maglietta.
In fondo, è stato proprio lui a inventare il «miracolo» Allegri e a lanciarlo - via Cagliari - verso quel Milan di cui è tifosissimo da sempre. Il sogno nel cassetto è assistere a San Siro a uno scontro tra le sue due squadre del cuore. E magari vedere il piccolo Sansone dare un dispiacere ai campioni rossoneri.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.