Lagarde: «La Bce tagli i tassi contro la guerra delle valute»

«Non mi piace nessuna guerra», neanche quella della valute, «alias svalutazione competitiva». Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario internazionale, tocca uno dei temi caldi del momento, un fattore di rischio che anche all'interno dell'Eurozona preoccupa parecchio. Il rafforzamento della moneta unica, insieme con il nodo della ricapitalizzazione diretta delle banche attraverso l'Esm, sarà non a caso in cima all'agenda dell'Eurogruppo di lunedì prossimo. La maggiore fonte d'insidia è il Giappone, dove il premier Shinzo Abe ha di recente messo a punto un maxi-pacchetto espansivo da 117 miliardi di dollari con l'intento di sconfiggere la deflazione.
Lo yen, infatti, continua a perdere quota: ieri è sceso fino a quota 119,33 contro l'euro. «Mi preoccupa molto la nuova politica di Tokio», ha detto il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble.
Ma anche negli Usa la musica è la stessa. Per acquistare un solo euro ci vogliono oggi 1,3378 dollari, ma gli analisti scommettono su una sua risalita a quota 1,37 in 3-6 mesi. In fatto di politiche espansive per stimolare la crescita, l'America non scherza: mentre Obama spingeva sul pedale degli stimoli fiscali la Fed procedeva a inondare il sistema di liquidità. Da anni, inoltre, nonostante gli impegni presi in sede G20 (le valute devono riflettere i fondamentali economici) e le ripetute smentite da parte della Casa Bianca, rimane il sospetto che Washington tenga il cambio artificiosamente basso.
Insomma, quella svalutazione competitiva condannata dalla Lagarde. Che sembra ben rendersi conto di come Eurolandia stia rischiando di far la fine del classico vaso di coccio tra vasi di ferro. Di qui l'esortazione, rivolta alla Bce, a «tagliare i tassi per sostenere la domanda». Con il costo del denaro allo 0,75%, Mario Draghi ha però margini di manovra limitati. E di fare del vero quantitative easing non se parla. Meglio puntare sulla ricostruzione della fiducia degli investitori verso i 17.

Un obiettivo in parte già raggiunto con il calo delle tensioni finanziarie. Ma questo calo, paradossalmente, rafforza la moneta unica. Quando i venti di recessione che soffiano su tutta l'area dovrebbero invece deprimerla.

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