Guarda come gongolo, con un tweet. Parole e musica di Donald Trump: «Stiamo andando benissimo. Il Pil è incredibile. Non solo. Abbiamo una crescita fantastica e anche un'inflazione molto, molto bassa. L'economia va benissimo. Siamo i numeri uno al mondo». Tanta esuberanza («irrazionale», avrebbe forse eccepito l'ex guru della Fed, Alan Greenspan) è stata generata ieri dal dato secondo cui l'America è cresciuta nel primo trimestre del 3,2%. È il passo di crescita più forte dal 2015. Talmente sostenuto da aver preso in contropiede gli analisti che non andavano oltre un +2,5%. Per quanto si tratti ancora della prima lettura, suscettibile quindi di due successivi aggiustamenti, l'andamento del Pil è per almeno tre motivi sorprendente. Il primo: il dato incorpora gli effetti negativi dello shutdown che fino allo scorso 25 gennaio ha semi-paralizzato le attività federali. Il secondo: l'espansione superiore al 3% è stata conseguita nonostante gli effetti della riforma fiscale trumpiana si siano ormai esauriti. Il terzo: sul dato ha inciso l'export, salito del 3,7% malgrado la guerra dei dazi, mentre l'import, che rappresenta un costo per il calcolo del prodotto lordo, è sceso a +1,03%. Due sole le note stonate: le giacenze di magazzino hanno contribuito per lo 0,65% alla crescita, una voce che nei prossimi trimestri peserà in negativo, poichè frenerà la produzione. Inoltre, i consumi sono saliti dell'1,2%, meno del +2,5% dei tre mesi finali del 2018.
Dettagli, per Trump. Ben consapevole che con un ritmo di sviluppo superiore al 3% sarà più facile strappare un secondo mandato alla Casa Bianca. Soprattutto se la Fed asseconderà i desiderata di The Donald. Il riferimento fatto da Trump ieri a un'inflazione bassa è tutt'altro che casuale: è un messaggio mandato a Jerome Powell affinchè tagli i tassi d'interesse, reso ancora più esplicito da Larry Kudlow, il consigliere economico del presidente Usa. «L'inflazione continua a scendere sempre più in basso - ha detto Kudlow - Anche per i membri della Fed, dal governatore in giù, ciò potrebbe aprire la porta a un calo dei tassi».
Trump ha intanto messo lo zampino anche sulla scena petrolifera.
Dopo aver provocato il rialzo delle quotazioni rafforzando le sanzioni contro l'Iran, il tycoon ha fatto sapere di aver «chiesto all'Opec di abbassare i prezzi» del greggio, sceso subito ieri di oltre il 4%, a 62,48 dollari al barile.
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