«È molto importante che l'Opec aumenti la produzione di petrolio. I mercati mondiali sono fragili, i prezzi del petrolio stanno diventando troppo alti. Grazie!». Donald Trump torna alla carica, ma senza più i toni ultimativi dei mesi scorsi, quando si rivolgeva al Cartello ordinando di aprire i rubinetti dei pozzi. Sarà che le minacce hanno finito per sortire l'effetto contrario, visto che i Paesi produttori mondiali aderenti al cosiddetto Opec+ hanno deciso lo scorso dicembre di estendere l'accordo per ridurre l'output. Da allora, le quotazioni del Wti sono salite di quasi il 30%. Anche perché quello che dovrebbe essere il principale alleato degli Usa, cioè l'Arabia Saudita, ha invece strizzato la propria produzione di ben 546mila barili al giorno rispetto ai 322mila che avrebbe dovuto tagliare per rispettare i termini dell'accordo con gli altri partner. Soci che non si stanno comportando tutti allo stesso modo. La Russia, altro gigante della scena energetica, si finora è limitata a ridurre i livelli produttivi di appena 82mila barili contro i 230mila preventivati. Il movimento in ordine sparso dei componenti l'Opec+ non ha tuttavia impedito il sostanziale allineamento della produzione complessiva ai target stabiliti nell'ultimo vertice. E ciò ha avuto un peso sui prezzi, scesi comunque ieri (-0,7% il Wti, a 59 dollari; -0,8% il Brent, a 66,7 dollari).
Trump ha del resto ragione a preoccuparsi. Elevate quotazioni del greggio rischiano di impattare su un ciclo globale che si va facendo più debole. E, sotto questo profilo, gli Stati Uniti hanno proprio ieri dovuto incassare due notizie negative. La prima riguarda la revisione al ribasso della crescita del Pil nel quarto trimestre 2018, corretta nella lettura definitiva al +2,2% (+2,6% la stima precedente). L'espansione nell'intero anno è stata pari al 2,9%, un livello che rischia quest'anno di non essere centrato, almeno in base alle previsioni di Standard&Poor's. L'agenzia di rating non ritiene che l'America possa andare oltre un +2,2%, sia a causa dell'ormai ridotto effetto sull'economia della riforma fiscale, sia per una politica monetaria più stringente. Inoltre, vengono citati i «venti contrari per l'economia globale, incertezze commerciali, preoccupazioni geopolitiche e un aumento dell'avversione al rischio tra gli investitori», come fattori di potenziale freno alla crescita.
Pur considerando «più probabile un rallentamento» nel breve termine, S&P non esclude del tutto una recessione, le cui probabilità sono salite al 20-25% dal 15-20% calcolato lo scorso trimestre. Quanto alla Fed, non toccherà più i tassi quest'anno, mentre nel 2020 ci sarà una sola stretta.
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