Ormai è un duello a due, con la Grecia da una parte e il Fondo monetario internazionale dall'altra. Col passare dei giorni, le forti frizioni tra Atene e l'organismo guidato da Christine Lagarde stanno arrivando a galla, senza più alcun elemento di freno a mantenerle sotto traccia. Delle pressioni che gli Stati Uniti avrebbero esercitato sul Fmi per sbloccare la situazione, non c'è alcun segno. Nè della «flessibilità» invocata, non più tardi di un paio, di giorni fa dal segretario al Tesoro Usa, Jeck Lew. Anzi: semmai, il Fondo ha amplificato la propria rigidità dopo l'ammonimento di ieri: «Chi manca i pagamenti non potrà più avere accesso ai finanziamenti», è stato l'avvertimento di uno dei portavoce. Ma, a dispetto del governo ellenico che ancora auspicava di raggiungere «un'intesa entro domenica», è stata la Lagarde, di solito poco spigolosa, a gelare tutti. Prima, ricordando che «c'è ancora molto da fare». Poi, sganciando la bomba: «L'uscita della Grecia dall'euro è una possibilità. Non vorrà dire la fine dell'euro».
I contendenti si muovono su un terreno insidioso come le sabbie mobili. Poco il tempo rimasto per mettere insieme uno straccio di soluzione di compromesso, l'unica via per sbloccare l'assegno da 7,2 miliardi che permetterebbe ai greci di versare il 5 giugno al Fmi 305 milioni, prima fetta di un rimborso complessivo da 1,6 miliardi. Eppure, nonostante la deadline sia ormai vicina, i toni si accendono. Anche il ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, non le ha mandate a dire al Fondo, accusandolo di essere «opaco» perché «ha iniziato con una prospettiva positiva, ma arrivando purtroppo a una quasi totale inaffidabilità». Parole durissime che riflettono distanze colmabili solo con un miracolo negoziale. Il punto di maggiore attrito riguarda le pensioni, una delle «linee rosse» del governo Tsipras. Rivelano fonti vicine al dossier: l'organizzazione di Washington pretende che Atene intervenga con decisione sulla riforma del sistema previdenziale per ottenere un surplus primario «più ambizioso». L'alternativa sarebbe una ristrutturazione del debito, soluzione che troverebbe la Grecia d'accordo (Varoufakis l'ha invocata anche ieri), ma che è osteggiata dall'Unione europea, “custode“ del 61% del debito del Paese mediterraneo. Come al solito, Wolfgang Schauble, titolare delle Finanze tedesche, è stato chiarissimo: «Atene non è più competitiva, no a sconti sul debito. Il Paese non può restare nell'euro senza fare le riforme». E l'Ue fa sapere che «non è possibile un accordo domenica».
Ufficialmente, il dossier Grecia è rimasto fuori dall'agenda del G7 di Dresda, che ha preso le mosse ieri sera per concludersi domani, ma è probabile che se ne discuta oggi durante una sessione dedicata ai rischi geopolitici. Anche perchè la crisi di Atene è strettamente correlata ai mercati. Dopo il rally di martedì, innescato dalle parole di Tsipras sull'accordo ormai vicino, ieri è riaffiorato il nervosismo: Borse dell'eurozona in calo, con Milano scesa dello 0,5%, spread Btp-Bund risalito a quota 134 e rendimenti in ascesa all'ultima asta del Tesoro (bond a 5 anni allo 0,85%, decennale all'1,83%). Ed è proprio ai mercati che guarda con preoccupazione la Bce.
Che nel Rapporto sulla stabilità finanziaria scrive che finora gli investitori sono rimasti calmi, ma che senza «un veloce accordo» potrebbe verificarsi il rischio «di un aggiustamento al rialzo dei premi di rischio richiesti sul debito sovrano dei Paesi vulnerabili dell'area dell'euro». In parole povere, un surriscaldamento degli spread in Paesi come l'Italia e la Spagna. Un brutto, e pericoloso, ritorno al passato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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