Non è un compito facile quello che attende Claudio Marenzi, neoeletto presidente di Sistema moda Italia, e non solo per colpa della crisi. Che certo si sente: il settore tessile e abbigliamento ha perso oltre il 10% dei ricavi rispetto al 2007. E non bastano i pur lusinghieri risultati in mercati importanti come Giappone (+14,9% l'export), Stati Uniti (+15,1%) e Cina (+18,3%) a evitare il calo dei fatturati nel 2012: -3,2% in totale, ma con andamenti diversi all'interno della filiera.
A soffrire infatti è soprattutto il comparto «a monte» (filatura e tessitura) che accusa una flessione dell'8,4% del fatturato, mentre l'abbigliamento, «a valle», rimane sostanzialmente stabile (+0,3%). Anche l'export, per la prima volta dopo tre anni, registra un calo, sia pure infinitesimale: un -0,8% che suona però come un campanello d'allarme, avverte Marenzi.
Non a caso, nel suo primo intervento all'assemblea di Smi, il neopresidente ha insistito sulla necessità di fare sistema con tutti i protagonisti del settore, Camera della moda in primis, per portare in Italia sempre più consumatori stranieri, conquistando i potenti buyer, signori della grande distribuzione: «L'unica misura del successo della nostra azione- ha detto Marenzi, che guida l'azienda di famiglia Henro- sarà la crescita dei fatturati delle aziende all'estero; tutto il resto è poesia». Ma dall'estero, ultimamente, non arrivano solo soddisfazioni per il made in Italy. La stagione della moda maschile si è appena conclusa e brucia ancora lo sgarbo di Londra, che da tre stagioni combatte con la storica rassegna di Palazzo Pitti una guerra non dichiarata ma pericolosa, sovrapponendo le sue sfilate a quelle fiorentine per «scippare» marchi e compratori.
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