L'inflazione troppo anemica lega le mani a Yellen e Draghi

I leader di Fed e Bce non parleranno di tassi e tapering Si teme la reazione dei mercati: ma lo spread sale a 170

L'inflazione troppo anemica lega le mani a Yellen e Draghi

Il simposio di Jackson Hole si apre domani nel segno di un paradosso. Raduno dei principali banchieri centrali e del gotha della finanza mondiale, dal 1982 il consesso ha sempre avuto come catalizzatore le politiche monetarie. Spesso, per i mercati, è stato un faro nella nebbia: è da quel palco che Federal Reserve e Bce hanno annunciato il varo imminente delle politiche di allentamento quantitativo. Prima di allora, il summit era solo un misconosciuto raduno sugli orientamenti dell'agricoltura. La svolta arrivò con la nomina di Paul Volcker alla presidenza della Fed: incallito pescatore, il predecessore di Alan Greenspan si convinse a passare qualche giorno tra i monti del Wyoming solo per il tributo di trote offerto dal Jackson Lake. All'epoca, Paul il Gigante era già una star: a colpi di rialzi dei tassi pompati oltre il 20%, incurante della disoccupazione montante, aveva domato l'inflazione facendola crollare dal 13,5% del 1981 al 3,2% del 1983. Oltre 30 anni dopo, l'attuale leader della Fed, Janet Yellen, è alle prese con un problema esattamente opposto: i prezzi restano troppo bassi (1,4% in giugno). E identico è il conundrum, il rebus irrisolvibile, per il collega della Bce, Mario Draghi (1,3% il carovita nell'eurozona). Cicli di Qe, tassi a zero o addirittura negativi e prestiti agevolati alle banche non sono riusciti a guarire l'inflazione dall'anemia. In prospettiva, meno margini per le imprese, meno investimenti e meno assunzioni. Insomma: guai in arrivo.

Per la Yellen, il rompicapo è reso oltremodo complicato dal fatto che gli Usa sono in una situazione di quasi piena occupazione (i senza lavoro sono al 4,3%). La banca centrale ha provato a spiegare il fenomeno legandolo al calo dei prezzi delle tariffe telefoniche e al ritiro dal mercato del lavoro dei baby-boomers, le cui paghe più alte sono state rimpiazzate da retribuzioni inferiori. Vero. Ma poi, magari, andrebbe anche ricordato che nella fascia di età dai 25 ai 54 anni i livelli di occupazione rimangono ancora sotto i livelli pre-crisi e che il salario minimo è fermo a 7,25 dollari l'ora. Par di capire che le politiche di deflazione salariale qualche conticino lo abbiano poi presentato. E lo stesso si può dire per l'Europa, dove Draghi vede ora minacciata dall'euro forte (+12% sul dollaro da gennaio) la faticosa risalita dei prezzi e il già difficile ritiro del Qe.

Il rischio, dunque, è che Jackson Hole diventi il teatro dove venerdì, giorno del loro discorso, la Yellen e Draghi faranno scena muta sulle prossime mosse di politica monetaria. Per non urtare la suscettibilità dei mercati. Da parte americana, silenzio sul terzo rialzo dei tassi e sulla riduzione dei 4.500 miliardi in bilancio; dal versante Bce, bocche cucite sul tapering, come già annunciato la scorsa settimana dal portavoce dell'ex governatore di Bankitalia e come confermato dalle ultime minute dell'Eurotower che collocano al prossimo autunno la discussione sulla exit strategy.

Anche se qualcuno legava in parte l'impennata di ieri dello spread Btp-Bund fino a 170 punti, il top da metà luglio (163 lunedì scorso), proprio alle aspettative sull'avvio del rientro graduale dalle misure straordinarie.

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