L'11 novembre 2017 viene inaugurato il Louvre Abu Dhabi. Nell'emirato il museo francese apre la sua prima sede all'estero. Notevole operazione culturale e d'affari. Per la sola concessione del nome fino al 2037, la realtà transalpina introietterà nelle proprie casse circa 400 milioni di euro. Resto al significato imprenditoriale dell'accordo senza occuparmi di altre importanti ricadute nei rapporti tra i due Stati. I francesi, ancora una volta, sanno come valorizzare al meglio le proprie «griffe» e, in questo caso, danno prova di saper esportare e monetizzare nel migliore dei modi il proprio patrimonio artistico.
Viviamo in un tempo dove al di là delle mille contraddizioni e dei quotidiani ostacoli è in continua crescita la domanda di bellezza. Chi ne dispone dovrebbe approfittarne. Oltralpe dimostrano di conoscere e utilizzare assai bene gli strumenti del mestiere e di muoversi in anticipo. L'Italia, che in materia di patrimonio artistico non teme confronti, non riesce ad essere competitiva neppure su questo terreno; difetta di una mentalità imprenditoriale ai massimi livelli politici.
Consideriamo poco il tantissimo che abbiamo. Trattiamo il nostro patrimonio artistico con trascuratezza e sufficienza; anziché tenere a lucido le nostre meraviglie si preferisce tirare a campare senza una visione, una prospettiva. Uno Stato consapevole e responsabile avrebbe già investito da tempo in buone pratiche per dare lustro al proprio immenso patrimonio. Quel che ha fatto il Louvre con l'emirato arabo dovrebbe fare impallidire i responsabili del nostro atavico immobilismo; un' ottima azione imprenditoriale destinata a tracciare un nuovo corso. Costruita a regola d'arte.
È la solita Italia delle occasioni mancate; finché non verrà lasciata all'iniziativa privata la possibilità di generare business anche nel mercato dell'arte. Per il bene di tutti.
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