Coronavirus

Ricavi, licenze e produzione: la verità sul business dei vaccini

Una legge impedisce alle case farmaceutiche di cedere la licenza e consentire ad altri di produrre vaccini più velocemente: così siamo "ostaggio" di chi ha il brevetto

Ricavi, licenze e produzione: la verità sul business dei vaccini

Il ricavo dei vaccini anti-Covid delle big Pharma ha numeri da capogiro: tra i 50 ed i 75 miliardi di dollari soltanto nel 2021 sui contratti di fornitura di tutte le aziende che, per prime, hanno sviluppato l'arma contro il virus e che sono stati resi pubblici finora. Se a questo si aggiunge la quotazione in Borsa di Pfizer e Moderna per arrivare a Johnson & Johnson e Novavax, il valore complessivo di queste aziende è lievitato anche di 100 miliardi.

I problemi di produzione

È indubbio che si tratti dell'affare del secolo per queste poche case farmaceutiche senza contare gli altri vaccini ancora in sperimentazione che arriveranno entro la fine del 2021: più durerà la pandemia, maggiori saranno i ricavi. Unione Europea e Stati Uniti hanno messo un'enorme massa di denaro pubblico per accelerarne lo sviluppo e garantirne la produzione. Come scrive Repubblica, la capitalizzazione di Moderna è lievitata in un anno di 60 miliardi, quella di Biontech è raddoppiata a 117. Il valore di Novavax, un altro farmaco arrivato quasi al traguardo e ad alta efficacia si è gonfiato del 6000%. L'impatto dei vaccini anti-Covid sulle quotazioni di big come Pfizer, Astrazeneca e J&J è stato invece molto più contenuto - nel caso degli inglesi addirittura negativo - anche perché il peso nei nuovi prodotti sul loro portafoglio di farmaci è molto più ridotto. Il problema maggiore, però, non riguarda i ricavi delle singole aziende ma ciò che riguarda la produzione: come si può sperare di "correre" più velocemente delle varianti del virus se i produttori dei vaccini non possono star dietro alla più grande domanda mondiale della storia? È ovvio che da soli non possono farcela ma, al momento, non esistono altre strade: siamo "ostaggio" delle Big e small Pharma non per colpa loro ma per un problema di legge vigente.

Cosa dice la legge in vigore

"La questione dei vaccini è seria perché ha preso il mondo occidentale alla sprovvista", ha detto in esclusiva per ilgiornale.it il Prof. Stefano Zamagni, ordinario di Economia Politica all'Università di Bologna e Professore a contratto di Economia politica internazionale alla Johns Hopkins University in Baltimora, negli Stati Uniti. Zamagni ci ha spiegato, in tema di vaccinazione anti-Covid che interessa il globo intero, la differenza che il bene comune ha rispetto al bene pubblico e quello privato per capire cosa sta succedendo in questo preciso momento. "I beni comuni, che si studiano in Scienza economica hanno certe caratteristiche che non li rendono nè pubblici nè privati. Poiché il mondo occidentale, fino ad ora, non aveva mai avuto bisogno di una vaccinazione di massa come quella attuale, studiosi di diversi discipline e politici non si sono mai posti il problema di modificare l'assetto giuridico internazionale per dire che i beni comuni non possono essere brevettati. Oggetto di brevettabilità sono soltanto i beni privati e quelli pubblici ma non quelli comuni, questo lo sanno tutti", ci dice il professore. Cosa significa tutto ciò? Che, con il brevetto delle Big Pharma, la produzione non può essere concessa a nessun'altra azienda se non a loro stesse, le uniche a poter produrre i vaccini. In questo modo, però, si rallenta enormemente il processo di vaccinazione per raggiungere l'immunità di gregge perché è impossibile soddisfare, in breve tempo, la richiesta per avere miliardi di fiale a disposizione.

"Vanno usate le licenze"

I beni comuni, quindi, sono la terza categoria di beni dopo quelli privati e quelli pubblici. La teoria economica è d'accordo sul fatto che non possano essere brevettati. Qual è allora il sistema che si dovrebbe usare? "Quello delle licenze: la proprietà intellettuale dell'impresa che ha fatto la scoperta resta sua ma lo sfruttamento, cioè la produzione del vaccino, deve essere data a licenza anche ad altri che la vogliono prendere" afferma Zamagna. Chi la prende, ovviamente, deve pagare una royalty all'impresa che l'ha fatta, cioè un un pagamento legalmente vincolante effettuato ad un individuo o ad un'impresa (come in questo caso) per l'uso continuo dei suoi beni originariamente creati, comprese opere protette da copyright, franchising e risorse naturali. Il prof. fa l'esempio di cosa avviene quando si pubblica un libro. "L'autore lo concede alla casa editrice la quale decide che, su ogni copia venduta, la percentuale sia ad esempio del 5%. Dal momento che questo non si è pensato per i vaccini, le quattro case farmaceutiche produttrici che devono produrre hanno una capacità produttiva limitata. Il risultato è che la gente muore, metaforicamente parlando. È giusto che questo accada soltanto perché loro insistono nel volere produrre ciò che non sono in grado? Basterebbe porsi soltanto questa domanda". Insomma, non sono le Big Pharma a non voler condere la licenza perché vogliono guadagnare di più, "è soltanto perché non c'è la normativa, quella esistente è ancora basata sui beni privati ed i beni pubblici", sottolinea.

Il precedente del vaccino antipolio

A fine pandemia, Unione Europea e Stati Uniti riscriveranno le regole della brevettabilità, fissate a suo tempo quando ancora la tematica dei 'commons', cioè dei beni comuni, non si era posta e si andrà verso il sistema delle licenze. È bene ricordare due precedenti di buon senso che hanno fatto storia di molti anni fa, quando nei primi anni '60 Jonas Salk, scienziato americano che realizzò il primo vaccino contro la poliomelite, si oppose al brevetto. Stessa cosa fece anche Albert Sabin, che sviluppò il più diffuso vaccino contro la poliomelite, dicendo di rinunciare al brevetto perché altrimenti i bambini sarebbero continuati a morire. "Adesso ci troviamo con le case farmaceutiche che utilizzano la normativa esistente perché i governi non hanno provveduto, e la normativa esistente dice che il soggetto imprenditoriale che inventa deve avere lo sfruttamento della produzione per un lasso di tempo variabile di 10,15 o 20 anni a seconda dei casi - afferma Zamagni - Ci si può soltanto appellare al buon cuore: chiedere a Pzifer, Moderna e AstraZeneca di lavorare giorno e notte per aumentare le dosi". In un modo diverso, le imprese non ci avrebbero rimesso perché avrebbero ottenuto le royalty, l'esempio dei libri che ci ha fatto il professore è lampante. "In Italia abbiamo tre case farmaceutiche: se avessero ottenuto la licenza, ora sarebbe diverso. Su ogni flacone venduto, riservavano una percentuale da dare all Pfizer ed alle altre".

"Le regole riguarderanno il futuro". Ormai, gli studi di laboratorio su questo maledetto virus sono stati iniziati 10-11 mesi fa. "Le regole riguardano il futuro, non il passato: l'Unione europea non può fare, adesso, una regola, che imponga comportamenti diversi alle imprese farmaceutiche che hanno iniziato il processo, pensiamo al principio basico del diritto - afferma - È chiaro che a questo punto i risultati sarebbero gli stessi ma è importante sapere che alla fine di questa pandemia le regole verranno cambiate". Se si andrà in quella direzione, è la volta buona che possano nascere, in vista di future e possibili pandemie, dei laboratori creati ad hoc per i vaccini anti-pandemici così come in Italia adesso abbiamo le imprese che producono mascherine. "Quando un anno fa è scoppiata la pandemia, in Italia non c'era nessuna impresa che sapesse produrle", aggiunge Zamagni.

Piano etico contro piano economico

Il problema va approfondito anche sul piano etico: non si può mettere sullo stesso piano un oggetto che serva a soddisfare bisogni personali con oggetti che servono a salvare la vita come i vaccini. "Non si può mettere il valore della vita sullo stesso piano di quello economico, l'errore che si fa è esattamente questo, ecco perché non si potrebbero rendere brevettabili a differenza dei beni di consumo che non sono essenziali per la tua vita. Di fronte al vaccino non c'è libertà di scelta, è indispensabile per la vita. Come dice anche Papa Francesco, il vaccino deve essere universale, non si può darlo a chi ha più soldi".

Il caso delle GAFAM. Ed alla gente che ironizza e si scaglia contro le case farmaceutiche che si arricchiscono? "Sono piani diversi - ci dice Zamagni - L'anno scorso, a seguito del Covid, le GAFAM (cioè Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft, ndr), quindi le 5 maggiori multinazionali dell'informazione e della comunicazione, hanno incrementato i profitti di 650 miliardi in un anno. Grazie al Covid, hanno potuto vendere i diritti su piattaforme e con altre modalità. Vale la stessa cosa: che merito hanno? Non hanno alcun merito, semplicemente è scoppiata la pandemia e loro hanno colto la palla al balzo", afferma il professore. In quel caso, il ragionamento riguarda il sistema di tassazione che afferma come chi produca un valore debba tenerselo ma il valore di 650 miliardi in più non è stato prodotto da loro, è indotto. "Il caso dei vaccini è diverso, non è un problema di tassazione ma di produzione: le poche case farmaceutiche, anche se lavorano giorno e notte, più di tanto non possono produrre. Non bisogna essere ingegneri per capirlo, ecco perché ci vogliono le licenze".

In questo caso, le case produttrici dei vaccini si difendono dicendo che non hanno colpe se i governi dei Paesi non hanno previsto le licenze. "Uno che gioca in Borsa e ottiene un extra profitto dalla speculazione finanziaria e paga il 15% di tasse quando invece sul lavoro si paga il 42%? È un problema serio ma non è tipico delle case farmaceutiche, riguarda anche altri ambiti e settori.

Il problema è di rendere accessibili a tutti questi sieri salvavita", conclude Zamagni.

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