L'addio di Piero Montani al vertice della Banca Popolare di Milano rappresenta l'ultima chiamata alla «responsabilità» affinchè la vecchia guardia sindacale di Piazza Meda faccia un passo indietro, consentendo alla cooperativa di avere una governance sufficiente per restare sul mercato e affrontare l'aumento di capitale da 500 milioni necessario per rispettare i paletti patrimoniali posti dall'Eba. In caso contrario la prospettiva del commissario sarebbe concreta.
Per trovare il messaggio, cifrato, è sufficiente scalfire la scorza dell'ufficialità dal comunicato in cui Bpm ha denunciato alla Consob i motivi addotti dal capo azienda per le dimissioni. Montani - che la Vigilanza aveva fortemente voluto come plenipotenziario a Milano e che ha ora inviato a Carige - ha infatti stigmatizzato la «mancanza di fiducia» nei propri confronti da parte del Cds (che ha visto 3 voti contrari e 4 astenuti sul bilancio), di alcuni sindacati e del fronte dei pensionati: come la Uilca che ad aprile si era detta «sconcertata» dalle scelte del management. In sostanza Bipiemme rischia di ripiombare in una situazione di ingovernabilità. Una pericolo inaccettabile per Bankitalia che quindi, se fallisse il tentativo di Bonomi di trovare il sostituto di Montani, potrebbe procedere manu militari. Una soluzione estrema ma che Palazzo Koch - si fa notare - ha già impiegato, pur con i tempi necessari alla sua complessa macchina decisionale, in una decina di istituti medio-piccoli.
Centrale è quindi capire come si muoverà la maggioranza del consiglio di sorveglianza davanti alla proposta di un rinnovo anticipato del Cdg che faccia da apripista all'arrivo come consigliere delegato dell'ex direttore generale di Intesa Sanpaolo, Giuseppe Castagna. Lo statuto prevede che la scelta dell'ad passi prima in comitato nomine (5 persone), dove è necessario il voto favorevole del rappresentante di Investindustrial. Quindi il dossier arriverebbe al consiglio di sorveglianza che per i primi quattro scrutini delibera a maggioranza qualificata e poi a maggioranza semplice, sempre però con il punto fermo di ottenere il via libera dei soci di capitale e di almeno uno dei due partner industriali (Credit Mutuel e CariAlessandria). Per dare una nuova guida a Piazza Meda è quindi necessaria una convergenza tra Bonomi, primo socio dell'istituto, e i dipendenti soci che dominano il Cds. Non è però un mistero che la pancia delle banca, che aveva chiesto la testa di Montani, stia da tempo posizionando le pedine per fermare in assemblea anche il progetto di «popolare bilanciata» studiato da Bonomi, come via di uscita dopo la bocciatura del «progetto spa». Così come appare ormai chiaro che una parte dei sindacati interni non si fidino più del finanziere e tentino di giubilarlo.
Ecco perché l'addio di Montani diventa un modo per mettere con le spalle al muro la vecchia guardia di Bpm che non gli ha perdonato la pulizia fatta nei rapporti con i sindacati e che ha manovrato da subito per mettere contro amministratore delegato e presidente. Il significato della posizione assunta dal banchiere è questo: il lavoro di risanamento è terminato- come riconosciuto dalla stessa Vigilanza al termine dell'ispezione - la banca è in utile, il prestito convertendo è in sicurezza e la struttura è più efficiente, ma la Milano non può sopravvivere a lungo se i pretoriani dell'ex Associazione Amici, confluiti nelle fila dei pensionati, continueranno a tenere in pugno l'assemblea.
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