Circa 17mila piccoli risparmiatori, banche creditrici (tra cui anche la Cdp e la Bei), e grandi soci. Sono questi i soggetti principali coinvolti nel business di Atlantia, tramite azioni, bond o crediti, che rischiano di perdere tutto con la sempre più probabile revoca delle concessioni.
Nel capitale di Atlantia, alla corte dei Benettton (azionisti forti al 30,2% attraverso Edizione), ci sono infatti diversi big della finanza quali il Gic, il fondo sovrano di Singapore (8%), ma anche la Fondazione Crt (5%), la banca inglese Hsbc (5%) e l'advisor Lazard (5%). Il 45% del capitale è invece piazzato sul mercato, ovvero in Borsa. E questo è un primo punto. Colpire la holding vorrebbe dire non solo colpire Benetton e soci, ma anche un pool di investitori molto eterogeneo.
Anche diverse banche sono esposte fino a circa10 miliardi. I nomi, e le rispettive quote, non sono noti, ma nell'organizzare la scalata ad Abertis, costata complessivamente 17 miliardi, circa 10 sono arrivati dal supporto del sistema bancario (gli altri 7 sotto forma di equity): sul fronte internazionale Credit Suisse, Crédit Agricole, SocGen, Natixis, Jp Morgan, Bofa-ML, DB e Citigroup. Mentre su quello italiano Intesa-Sanpaolo, UniCredit, Bnl-Bnp Paribas, Ubi, BancoBpm e Bper. Insomma, tutto il gotha del sistema bancario tricolore. E in ballo, che si tratti di azionisti, creditori o bondholder, c'è l'intero investimento.
«In caso di revoca della concessione senza indennizzo - ipotesi prevista dall'articolo 35 del Milleproroghe approvato a fine anno - per Autostrade per l'Italia della famiglia Benetton si andrebbe dritti verso il fallimento» commenta un analista spiegando che «mancherebbero le risorse per ripagare i 10,8 miliardi di debito con le banche».
Un default tecnico a cui si arriverebbe con il graduale declassamento delle agenzie di rating e la vendita in massa di azioni. Tra l'altro, già colpite duramente: il titolo Atlantia che ieri ha chiuso a quota 20,35 euro (+0,9%), rispecchia 17 miliardi di capitalizzazione. Alla chiusura del 13 agosto 2018, prima della tragedia del Ponte Morandi le azioni Atlantia valevano 24,88 euro per una capitalizzazione di circa 20,5 miliardi. Secondo gli analisti di Equita, «l'avvio della procedura di revoca della concessione creerebbe uno scenario di incertezza perché si avrebbe il downgrade a junk da parte delle agenzie di rating, e uno scontro legale che potrebbe durare diversi anni».
In merito ai bond, i piccoli risparmiatori dovrebbero poter esercitare un'opzione put e richiedere il rimborso, ma senza certezze. Il rating delle obbligazioni Atlantia risulta già basso: BBB- per S&P, BBB per Fitch e Baa3 per Moody's. Le prime due agenzie hanno previsioni negative per l'outlook e la terza lo ha posto sotto osservazione. Come per le azioni, le obbligazioni hanno già perso terreno. Il bond febbraio 2025 (cedola fissa 1,625%) vale oggi 95 centesimi, mentre poco prima della tragedia del Ponte Morandi prezzava 102, sopra la pari. Da allora, complici le tensioni politiche italiane, arrivò a perdere il 15%, risalendo gradualmente grazie al rally obbligazionario globale. Ma da quando Atlantia si è ritirata dall'operazione Alitalia, le perdite sono tornate a fioccare.
Una situazione delicata soprattutto dopo che le nuove norme in materia di concessioni hanno
ridotto a 10 miliardi, dai 20-25 stimati con il precedente regime normativo, l'indennizzo per revoca. Governo e azienda stanno trattando, ma tra revoca o maxi risarcimento, l'orizzonte finanziario resta fosco più che mai.
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