Il minipetrolio rilancia Saras, pronta all'aumento dei target

Dopo anni di crisi e di fuga di grandi gruppi, riparte il business della raffinazione grazie a prezzo del greggio e calo dell'euro

Il minipetrolio rilancia Saras, pronta all'aumento dei target

Saras si prende la rivincita. E si prepara a sbancare la raffinazione italiana confermando di aver fatto la scelta giusta: credere nel settore nonostante le continue defezioni. Da Erg, convertitasi all'energia green, passando per Tamoil, Ies ed Eni, che hanno ridimensionato il business. Dal 2007, nel Vecchio Continente, sono stati fermati 14 impianti e in Italia tre raffinerie (su 16) sono state riconvertite. E così, secondo le ultime indiscrezioni, il gruppo guidato dalla famiglia Moratti (50,02%) in compagnia dei russi di Rosneft (20,98%), si prepara a chiudere il 2014 con un margine di raffinazione in area 7-8 dollari al barile con un premio notevole rispetto alla media 2014 (0,5 dollari al barile) e al dato di febbraio 2015 (4 dollari/barile). Uno scenario che riporta Saras ai valori del 2007-2008 e che la proietta sul mercato internazionale con numeri nuovi. Basta guardarsi indietro per capire l'entità della svolta: i margini di raffinazione sono stati 1,8 dollari al barile nel 2009 e nel 2010; 2,8 dollari nel 2011; 2,1 dollari nel 2012 e 1,5 dollari nel 2013.

Per questo, il 24 febbraio con la presentazione dei conti 2014, gli analisti si attendono novità: una revisione dei target e un possibile ritorno al dividendo nel breve periodo. Basti pensare che ogni dollaro al barile in più o in meno del benchmark di raffinazione corrisponde, rispettivamente, a un aumento o una contrazione dell'ebitda di Saras di 90 milioni di euro. «La situazione del gruppo - spiega un analista - è promettente perché non è legata all'andamento dell'oro nero. Non si spiegherebbe perché i suoi margini sono oggi a premio rispetto alla media». A favorire Saras - che in Italia opera con la raffineria sarda di Sarroch, la più grande del Mediterraneo con una produzione di 300.000 barili algiorno - sono due fattori (il prezzo del petrolio e il dollaro) declinati sulle peculiarità del gruppo. Dimenticati i 100 dollari al barile, il valore del greggio è sceso negli ultimi 7 mesi sotto 45 dollari per attestarsi, ieri, a 52,74 (Wti). Una condizione che ha favorito tutti i raffinatori, ma in modo maggiore Saras che ha la forza tecnologica di lavorare tipologie e qualità nuove di greggio, che in questo contesto vengono vendute con ulteriore sconto. Inoltre, il rafforzamento del dollaro (+15% negli ultimi tre mesi) sull'euro, ha permesso alla società di aumentare notevolmente i margini riducendo i costi. Saras compra e rivende la materia prima in dollari, ma ha costi fissi e variabili in euro.

«Da qui - spiega un analista - ne discende un forte miglioramento della marginalità anche grazie a un terzo e ultimo elemento: per ogni barile di petrolio l'azienda usa per consumi interni circa il 5%. Quota che con l'oro nero a 100 dollari costava all'azienda 5 dollari a barile e ora pesa la metà». A fare bingo sono anche i petroliferi russi che nella raffinazione italiana si sono posizionati da tempo.

Lukoil con il controllo della raffineria Isab a Priolo di Erg e Rosneft che per il 20% di Saras ha paganto 1,37 euro ad azione. Livelli verso i quali sta tornando il titolo che, dopo aver guadagnato il 23,7% da inizio anno. Ieri ha chiuso a 1,08 euro (+4,94%).

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