«La mia idea è che noi dovremmo uscire dal patto di sindacato di Rcs». Così il ceo di Generali, Giovanni Perissinotto, ha ieri sparigliato le carte della grande finanza da Trieste, nel giorno dell’assemblea dei soci. E questo quando, nello stesso giorno, il numero uno del Leone si era svegliato trovandosi sotto attacco proprio sul Corriere della Sera, da dove Leonardo Del Vecchio, appena divenuto il terzo socio salendo al 3% del capitale, ne chiedeva le dimissioni. Due fatti, questo di Rcs e l’invettiva cartacea del patron di Luxottica, che hanno segnato il capo e la coda dell’annuale rito triestino di ieri, aprendo ufficialmente i giochi del riassetto delle Generali: di qui a un anno va rinnovato l’intero cda e bisognerà vedere secondo quale nuovo equilibrio tra i soci, posto che lo storico legame con Mediobanca, primo azionista con il 13,2% e per l’Antitrust “controllore di fatto“ si sta allentando anche per la volontà in questa direzione dell’attuale governo, mentre cresce la voglia degli imprenditori privati come Del Vecchio, Caltagirone, Pellicioli, di influire sull’andamento del titolo, ridotto dalla crisi del debito ai suoi minimi storici.
Non è un caso che ieri a Trieste, per la prima volta, mancassero i rappresentanti di Mediobanca nel cda, appena dimessi per il divieto di cumulo di cariche introdotto dal governo. Mentre il caso Rcs rientra nel contesto perché rappresenta un tema su cui la stessa Mediobanca, primo socio nel patto di sindacato che controlla il 58% del Corriere, si è recentemente scontrata con Diego Della Valle sulla nuova governance del cda, chiedendo l’ingresso degli indipendenti. Perissinotto, interrogato sulla faccenda, non si è schierato con Mediobanca, definendo la soluzione un «compromesso». Poi ha detto di voler uscire dal patto con il suo 4% e così facendo ha lanciato un segnale forte di autonomia poco usuale. Come se in Rcs, i cui equilibri azionari sono gestiti dagli accordi tra grandi soci, limitando assai il grado di libertà dei manager, si specchiassero le stesse Generali del futuro, finalmente public company i cui amministratori siano chiamati a rispondere solo di fronte al mercato.
In questo quadro Perissinotto cercherà di giocarsi le sue carte e ieri ha iniziato a farlo rispondendo per le rime a Del Vecchio: «In consiglio non abbiamo fatto nessun commento a riguardo e Del Vecchio non è un consigliere», tanto per cominciare. Poi, punto per punto, il ceo ha smontato le critiche dell’imprenditore veneto su Telco, Ppf, Citylife, Vtb: tutte operazioni che Generali ha effettuato con l’intento di investire e far rendere i premi versati dagli assicurati. Spesso, come in Ppf, con risultati invidiabili: un ritorno del 21% finora incamerato su un miliardo di capitale investito. Per questo, dice Perissinotto, cade l’accusa di essere finanziere e non assicuratore. Anche perché, frecciata finale, «fare gli assicuratori è un lavoro un po’ più complesso di quello di vendere occhiali». Fin qui il ceo. Che però non ha raccolto una sconfinata solidarietà tra i consiglieri: Caltagirone, Della Valle, Bolloré, Pellicioli non hanno voluto commentare mentre l’unico a promuovere apertamente l’operato del ceo è stato Meneguzzo. In altri termini rimane aperta la partita su Perissinotto: non è dato a capirsi se le parole di Del Vecchio sul Corriere raccolgano o meno un certo consenso tra i grandi soci del gruppo. Per lo stesso ceo non è così: Del Vecchio «agisce per contro proprio, non credo sia stato sollecitato», ha detto in conferenza stampa.
Di certo, dopo l’assemblea di ieri, i fronti aperti nella cosiddetta Galassia del Nord sono ancora di più. Alla ricerca di una mappa più chiara tra quelli che saranno realmente i protagonisti del riassetto, inevitabile, del grande capitalismo nazionale alle prese con enormi problemi di cassa e con andamenti deludenti delle società controllate.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.