Monte dei Paschi e Carige. Le due quasi «ex Cenerentole» del mercato bancario, ancora sorvegliate speciali del mercato. Una controllata dallo Stato, l'altra dalla famiglia Malacalza in complicata convivenza con management e fondi (come quello del finanziere Raffaele Mincione, in pressing sulla governance). Entrambe sono tornate a rivedere l'utile nel trimestre con l'obiettivo di convincere gli investitori che il peggio è passato.
Il «Monte di Stato», a giudicare dall'accoglienza riservata in Borsa dopo la presentazione dei conti agli analisti, sembra essere sulla buona strada. Il titolo ha chiuso la seduta mettendo a segno un balzo del 17,6% a 3,2 euro, con scambi vortiginosi. In tre mesi l'istituto di Rocca Salimbeni ha registrato 188 milioni di profitti contro il rosso di 169 milioni accusato nel primo trimestre dell'anno scorso. Al risultato ha contribuito il forte taglio dei costi: gli oneri operativi sono pari a 573 milioni, in calo dell'11,9% sul trimestre precedente. La banca ha completato il processo di cartolarizzazione di 24,1 miliardi di sofferenze, è stato avviata la vendita di 2,6-3 miliardi di crediti in sofferenza ed è in corso quella di 1,5 miliardi di inadempienze probabili.
L'ad, Marco Morelli, ha parlato di un «nuovo inizio», di «luce» in fondo al tunnel, descrivendo il risultato dei primi tre mesi del 2018 come un primo passo per tornare ad essere una banca «normale» e pienamente operativa. Ma è davvero così? Tante cose restano da fare, ha ammesso lo stesso banchiere che lunedì e martedì sarà a Londra per un roadshow con gli investitori, che proseguirà poi mercoledì a Milano. La banca dovrà concentrarsi sulla crescita del credito e dei ricavi, che rispetto ai primi tre mesi 2017 sono scesi del 6% a 877 milioni per la flessione del margine di interesse e delle commissioni nette, continuando a lavorare per migliorare la qualità dei prestiti. La raccolta complessiva è scesa a 193,2 miliardi (-6,4% anno su anno), per la flessione dell'indiretta su cui ha pesato la contrazione del risparmio amministrato e in particolare, spiega la banca, «la movimentazione di una rilevante posizione corporate».
Il Tesoro, azionista con quasi il 70%, intanto però festeggia: su Twitter il ministro uscente, Pier Carlo Padoan, ha definito «brillanti» i risultati ricordando che «il piano di ristrutturazione avviato dall'intervento del governo procede». Ma Padoan ha le valigie in mano. E a fine marzo Mps aveva archiviato una serie di sedute in rosso in Piazza Affari complice la «fuga» di alcuni fondi stranieri preoccupati per l'esito delle elezioni: l'alleanza fra Lega e Cinque Stelle porterebbe al governo due forze politiche che vorrebbero (soprattutto i grillini) Mps nazionalizzata a tempo indeterminato, così il cda tornerebbe a parlare senese.
Dopo cinque anni di profondo rosso rivede l'utile anche Carige: al profitto netto di 6,4 milioni (rispetto alla perdita di 41,1 milioni dell'analogo periodo dello scorso anno) si aggiunge l'andamento positivo degli impieghi alla clientela e delle commissioni mentre la raccolta diretta è scesa dell'1,9% a 16,3 miliardi. Come per Mps, anche a Genova è stata messa in campo una drastica cura dimagrante ai costi con le spese per il personale diminuite del 5,7% e quelle amministrative scese del 13,5%. I crediti deteriorati lordi attesi a fine anno saranno pari a circa 2,7 miliardi a fronte di un obiettivo 2018 assegnato dalla Bce di 4,6 miliardi (3,7 miliardi al 2019). Al 31 marzo i crediti deteriorati lordi per cassa alla clientela erano pari a 4,7 miliardi, stabili sui livelli di dicembre 2017. A Piazza Affari dopo i conti il titolo Carige è salito dell'1,15% a 0,0088 euro.
«Abbiamo rivitalizzato la banca», ha commentato Fiorentino aggiungendo che «dalla Bce ci aspettiamo di vederci riconosciuto il nostro lavoro: tutto ciò che stiamo facendo in termini di pulizia del portafoglio e revisione del modello di business».
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