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Montepaschi vede la svolta. "Non siamo più un problema"

Conti in rosso per 205 milioni, ma pesano le 4mila uscite. Lovaglio: "Ora abbiamo valore, pronti per una fusione"

Montepaschi vede la svolta. "Non siamo più un problema"

L'ultima riga del bilancio di Mps sembra un ritorno al passato, con un passivo che nel 2022 ammonta a 205 milioni di euro. Ma, in realtà, la prima trimestrale post aumento di capitale dà qualche spunto interessante a chi crede nel rilancio di Rocca Salimbeni (e nella fattibilità di una fusione). Il rosso, infatti, si deve ai costi per gli esodi che sono pesati 925 milioni, altrimenti l'esercizio si sarebbe chiuso con un utile sull'anno di 720 milioni. Un dato trainato dalla crescita (+ 26%) del margine d'interesse, che sta facendo le fortune delle banche europee e per Mps ammonta a 1,54 miliardi.

Secondo l'ad, Luigi Lovaglio, il quarto trimestre del 2022, durante il quale Mps ha registrato un utile di 156 milioni, rappresenta «un punto di svolta». Positivo anche l'andamento dei ricavi, arrivati a 3,08 miliardi e in crescita del 3,6% rispetto all'anno precedente. Il titolo in Borsa ha perso il 3,12% anche se Lovaglio, durante la presentazione dei conti, si è mostrato molto fiducioso e crede di raggiungere nel 2023 «un utile vicino» al target contenuto nel piano industriale, pari a 700 milioni di euro per il 2024 (quindi con un anno di anticipo). «Mps non è più un problema sistemico ma un vero asset di valore per il Paese», gonfia il petto il manager il quale sottolinea che la banca ha coefficiente patrimoniale Cet 1 del 15,6 per cento. I crediti deteriorati sono a quota 3,3 miliardi (-20% su un anno fa).

Non si può ancora dire che i problemi di Mps si siano dissolti nel nulla: a gennaio la banca ha ricevuto una lettera di richiesta danni da 700 milioni, relativa all'informativa finanziaria degli scorsi anni. Il totale delle richieste, sia in sede giudiziale che extragiudiziale, si attesta a circa 4,1 miliardi di euro, a fronte dei 4 miliardi di euro al 30 settembre 2022 e ai 3,4 miliardi di fine 2022. Insomma, una spada di Damocle non trascurabile. Ma a proposito di questo Lovaglio ha specificato come tra gennaio e febbraio la banca ha avuto due sentenze favorevoli «non rilevanti per gli ammontari, ma importanti su cosa pensano i tribunali» e orientative per pronunciamenti futuri. Riguardo alle richieste stragiudiziali, Lovaglio sostiene che «la gran parte è senza documentazione, legittimità e nesso causale e sono promosse dalla stessa società consulenza per investitori istituzionali».

Sulla prospettiva fusione i pianeti sembrano allinearsi: l'aumento dei tassi Bce e un'economia italiana che è da molti attesa in lieve crescita sono fattori favorevoli per il 2023 delle banche. Inoltre, i titoli del comparto vanno bene a Piazza Affari e questo è altro vento a favore per le aggregazioni. Anche se le grandi banche non sembrano sentirci: Intesa Sanpaolo ha detto di essere troppo grande per fare altri acquisti in Italia, Unicredit per il momento non prende in considerazione il dossier, Banco Bpm e Bper sostengono di essere troppo piccole per potersi accostare a un'operazione simile. Difficile dire se qualcuno cambierà idea, ma sta di fatto che il governo Meloni dovrà uscire entro il 2024 dal capitale e vuole trovare un compratore italiano per Mps. Nel frattempo, l'esecutivo ad aprile dovrà decidere sul board che va a scadenza. Per chiunque porterà avanti la partita l'obiettivo saranno le nozze.

«La banca è uscita da un periodo oscuro e questo dovrebbe spianare la strada a qualsiasi operazione in futuro dovesse intraprendere», assicura Lovaglio, «dopo anni difficili la banca è nella posizione di scegliere e raggiungere il suo porto sicuro».

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