Giorni caldi con problemi a 360 gradi per Sergio Marchionne di qua e di là dell'Oceano (i ritardi dell'integrazione Fiat Industrial-Cnh, il braccio di ferro con il fondo Veba sul 3,3% di Chrysler, il tema della liquidità al vaglio della Consob). A questi si aggiungono le polemiche con Diego Della Valle e, da ieri, anche con il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, e non solo. Screzi a parte, ieri Marchionne ha dovuto ingoiare il rospo dell'abbassamento del rating da parte di Moody's: da Ba2 a Ba3, con outlook negativo.
L'agenzia giustifica il downgrade (vittima è anche Psa) con «il calo della domanda di auto italiane registrato finora e le prospettive per la stessa domanda sino alla fine del 2012 e oltre». Moody's, insomma, mette ancora una volta il dito nella piaga, in quanto evidenzia come l'Italia continui «a rappresentare più della metà delle immatricolazioni europee di Fiat e come tale, il deterioramento, è la forza trainante delle perdite in aumento tra i suoi marchi di massa». Moody's sottolinea le difficoltà del Lingotto nella regione Emea (Europa, Medio Oriente e Africa) dove, secondo le analisi, ha bruciato 2,6 miliardi tra luglio 2011 e giugno 2012. A questo si aggiungono i nodi dell'eccesso di capacità, il ritardo nel rinnovamento della gamma e l'assenza di lanci di modelli di massa rispetto alla concorrenza, «mentre - continua Moody's - crescono le pressioni perfino in Brasile, al momento il mercato più proficuo».
Marchionne, che già in passato è entrato in rotta di collisione con le agenzie, questa volta tiene botta («era prevedibile, ce lo aspettavamo») e replica a Moody's, affermando, però, che «il declassamento nulla ha a che fare con i modelli; ma è comprensibile, considerando lo stato del mercato italiano». E precisa: «Il downgrade non riflette le condizioni finanziarie di Fiat nel suo insieme».
Lo scenario del settore si presenta, comunque, sempre più complesso. E Moody's mette sull'avviso Marchionne per un ulteriore downgrade «se il flusso di cassa del gruppo da attività industriali, escludendo cioè Chrysler, dovesse superare un dato negativo di 2 miliardi quest'anno e in assenza di segnali di miglioramento nel prossimo».
Il panorama, comunque, è desolante, visto che l'altra agenzia, S&P, stima che le vendite di nuove auto nell'Ue non torneranno ai livelli pre-crisi prima del 2018. E mentre sale la tensione negli stabilimenti italiani del gruppo, in mancanza di prospettive per il futuro (la prossima settimana è previsto il faccia tra Marchionne e i sindacati, Fiom esclusa), Marchionne ammette di vedere nero anche per il 2013, dopo un 2012 nel quale «potremmo aver toccato i livelli di vendita più bassi».
L'ad di Fiat, ma questa volta con il pullover di presidente dell'Acea, apre intanto un nuovo fronte, quello degli accordi di libero scambio per i quali invita l'Ue a non firmare più intese del genere.
«Non è il momento - puntualizza - di abbracciare politiche di questo tipo». E una sponda, il capo dell'Acea, la trova subito nei ministri dell'Industria di Italia, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Romania e Lussemburgo, i quali sollecitano la Ue a garantire più competitività alle industrie europee, tra cui quella dell'auto, rispetto alla concorrenza internazionale. «Occorre più coordinamento a livello europeo per il settore auto», ribadisce Marchionne. Inutile dire, che quando il presidente dell'Acea, parla di concorrenza internazionale, il riferimento è rivolto in questo momento ai coreani e ai giapponesi.
La conseguenza di una mancanza di politica industriale e della mancata soluzione dell'eccesso di capacità ha avuto come risultato 3 milioni le macchine invendute.
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