Mussari e Vigni condannati per Mps

All'ex presidente, al suo dg e al cfo Baldassarri tre anni e mezzo per «ostacolo alla vigilanza» sui derivati nascosti

Tutti condannati gli ex vertici del Monte dei Paschi nel processo celebrato a Siena con il capo di imputazione di ostacolo all'autorità di Vigilanza. L'ex presidente Giuseppe Mussari, l'ex direttore generale Antonio Vigni e l'ex direttore finanziario Gianluca Baldassarri sono stati condannati a tre anni e mezzo di reclusione e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Le condanne non sono eseguibili in quanto i tre imputati hanno annunciato che presenteranno appello.

Il tribunale, presieduto da Leonardo Grassi, dopo una camera di consiglio durata circa 4 ore, ieri pomeriggio ha accolto parzialmente le richieste dei tre pm senesi Aldo Natalini, Antonino Nastasi e Giuseppe Grosso la cui requisitoria si era conclusa invocando per Mussari una pena di 7 anni e per gli altri due rinviati a giudizio, di sei anni. Il risarcimento per l'unica parte civile che si era costituita, la Banca d'Italia, sarà stabilito in separata sede.

Il processo, denominato «Alexandria», prendeva il nome dal contratto (mandate agreement ) stipulato nel 2009 da Mps con la banca giapponese Nomura che ristrutturava il derivato Alexandria. Con quella operazione, acquistando 3 miliardi di Btp, il Monte nel 2009 spalmò 220 milioni di perdita contabile in 25 anni. In quel modo la banca poté distribuire un dividendo agli azionisti di risparmio e ai titolari del bond Fresh, un finanziamento da un miliardo erogato da Jp Morgan per l'acquisizione di Antonveneta. Particolarmente duro il pm Grosso che, durante la requisitoria, ha parlato di Mussari come «regista e attore di un film drammatico che aveva come sceneggiatore dei silenzi Gianluca Baldassarri e aiuto regista Antonio Vigni», un film «che ha lasciato un'eredità pesante, tale da minare non solo il Monte dei Paschi, ma la credibilità dell'intero sistema bancario italiano». Un chiaro attacco all'arringa dei difensori dell'ex numero uno che hanno cercato di alleggerirne la posizione puntando sulla sua scarsa conoscenza dei meccanismi della grande finanza.

Il mandate agreement , custodito nella cassaforte di Vigni, non era mai stato denunciato alla Banca d'Italia (di qui l'accusa di ostacolo all'attività di vigilanza), nemmeno nel corso delle ispezioni. Solo a inizio 2013 i nuovi vertici dell'istituto, il presidente Alessandro Profumo e l'ad Fabrizio Viola, ne hanno dato conoscenza al mercato. La successiva ristrutturazione (assieme a quella dell'altro derivato Santorini) ha determinato una perdita aggiuntiva di 700 milioni nel bilancio 2012 e costretto la banca a chiedere 500 milioni in più di Monti-bond, rispetto ai 3,5 miliardi inizialmente preventivati.

«La Procura è contenta per il fatto che l'impianto accusatorio ha retto sia pure con una rideterminazione della pena. Il tribunale ha riconosciuto che c'è stato un evento di danno in concreto», hanno commentato i magistrati. Le difese, invece, hanno immediatamente annunciato il ricorso. «Siamo molto sorpresi e ovviamente faremo appello», ha detto Fabio Pisillo, uno degli avvocati di Mussari.

«Non sono soddisfatto quando vinco, figuriamoci quando perdo», ha aggiunto l'avvocato Franco Coppi, difensore di Vigni.

Un'altra pagina di questa vicenda giudiziaria sarà scritta dalla Procura di Milano che ha avocato a sé i filoni principali di inchiesta su Antonveneta e su Alexandria, relativi a un'ipotesi di reato di aggiotaggio.

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