Nel salotto di Assopopolari la regia è delle quattro big

L'ordine di Bankitalia di mettere mano alla governance sta trasformando il mondo delle Popolari in un grande cantiere. La priorità di Ignazio Visco è costringere alla svolta Bpm, dove il presidente Andrea Bonomi sta lavorando a una governance «bilanciata» che faccia posto in Cds ai soci di capitale, ma in prospettiva l'esito potrebbe essere la riforma del settore.
Molto dipende da come si disporranno i veti incrociati in Parlamento e da quale sarà il compromesso proposto da Assopopolari, l'associazione presieduta da Emilio Zanetti, il banchiere che per un trentennio è stato il perno di Ubi. Il presidente del Banco, Carlo Fratta Pasini, siede invece nel consiglio e sempre da Verona proviene il segretario generale Giuseppe De Lucia Lumeno, vero uomo forte dell'Associazione.
A fissare la governance di Assopopolari è l'articolo 18 dello Statuto: a ogni associato «spetta un voto ogni 5 milioni di mezzi amministrati o frazioni, con un minimo di venti e un massimo di 2.200 voti». A fare da pilastri sono quindi le quattro big del settore: Ubi, il Banco, la Popolare Emilia di Luigi Odorici e la Popolare di Milano. Queste sono anche le banche che reggono buona parte del bilancio dell'associazione: per ciascuna si può stimare un esborso annuo vicino a 350mila euro.
Il cda di Assopop è però tutto un incastro di attenzione ai «territori» ai loro «campanili».

Secondo una logica simile a quella del voto capitario che regola le assemblee delle Popolari, quando il vertice di Assopopolari deve decidere la linea politica, la forza dei numeri trova quindi un contrappeso morale nella posizione assunta da alcuni influenti banchieri di lunga data: a partire dal presidente di Popolare Sondrio, Piero Melazzini (vice presidente di Assopopolari), da Giovanni De Censi (presidente Creval e dell'Istituto centrale) e da Giovanni Zonin della Popolare Vicenza.

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