Se fino a pochi mesi fa l'idea di un rialzo dei tassi Usa terrorizzava le Borse, ora si assiste a un curioso rovesciamento in base al quale non appena Janet Yellen accenna (con prudenza) alla possibilità di una stretta entro l'anno, gli indici si mettono a correre. Lo scandalo Volkswagen? Rimosso. La frenata della Cina e gli scricchiolii sinistri dei Paesi emergenti? Pure. Sono i mercati di oggi, prendere o lasciare.
Ma cosa ha detto di tanto forte la presidente della Fed per mettere ieri nei listini la benzina del rialzo, consentendo a Milano di chiudere la settimana con un rimbalzo del 3,68%, mentre sulle altre piazze europee i guadagni hanno oscillato tra il +3% di Parigi e il 2,5% di Londra, con Wall Street che a un'ora dalla chiusura saliva dell'1,5%? Questo: «Fortunatamente, le prospettive per l'economia americana sembrano generalmente solide», il mercato del lavoro continuerà a «migliorare ulteriormente» e l'inflazione «ritornerà verso il target del 2% con il venire meno di fattori temporanei» che la tengono a freno. Tre tasselli che si incastrano perfettamente in un puzzle che mostra un irrigidimento in arrivo del costo del denaro. Il passaggio-chiave, infatti, arriva subito dopo: «Molti dei miei colleghi, inclusa me stessa, attualmente anticipano che il raggiungimento di quelle condizioni probabilmente richiederà un iniziale incremento dei tassi più avanti nell'anno, seguito da una stretta graduale». Rispetto all'intervento di una settimana fa al termine della riunione del Fomc, dalle parole del successore di Ben Bernanke sono sparite quelle note di preoccupazione legate alle turbolenze dei Brics che avevano determinato la scelta di non cambiare la politica monetaria. Un'incapacità di governare gli eventi che aveva spaventato i mercati. Ora la Fed sembra riappropriarsi del ruolo di «banca centrale del mondo», con scelte autonome non dettate da fattori esterni. Un segnale chiaro che la Yellen ha voluto infilare in un discorso, pronunciato alla University of Massachusetts, lungo una quarantina di 40 pagine e con 40 citazioni accademiche. Uno speech di 50 minuti costato alla prima presidente donna dell'istituto di Washington un malore per disidratazione.
A sostenere ieri la tesi secondo cui l'economia Usa è ormai incamminata su un sentiero di crescita robusta, è arrivato il dato finale sul Pil nel secondo trimestre, rivisto al rialzo al 3,9% (+3,7% nella previsione precedente) grazie soprattutto ai consumi saliti del 3,6% (contro il +3,1% della seconda stima) e alle costruzioni, sia quelle residenziali (+9,3%), sia quelle non residenziali (+6,2%). «Nella prima metà del 2015 la domanda interna è rimasta robusta nonostante il rallentamento di quella internazionale abbia pesato sulla crescita», ha commentato la Casa Bianca, a sottolineare la capacità di resistenza mostrata dall'America ai venti contrari che soffiano a livello internazionale. Gli analisti si aspettano una crescita attorno al 2% nel terzo trimestre, ma le scorte aziendali Usa (a livelli record a fine giugno) e la frenata del Dragone potrebbero riservare sorprese non del tutto piacevoli. Incognite che rendono assai improbabile un aumento dei tassi già in ottobre. Tende a escluderlo perfino un falco come il presidente della Fed di Saint Louis, James Bullard: «Non è chiaro quali potrebbero essere i dati che avremo in mano a ottobre che siano in grado di sostenere la mia posizione (favorevole alla stretta, ndr ) rispetto a quelli che avevamo in settembre».
D'altra parte, nel suo discorso, la Yellen ha invitato le altre banche centrali a fare la loro parte per sostenere l'economia globale. Non è da escludere che il diesel gate, che minaccia la crescita europea e ha ricadute negative sull'inflazione, induca presto la Bce ad allargare le maglie del quantitative easing .
È il livello dei tassi negli Usa, fermi ormai dalla crisi dei mutui subprime del 2008
È il tasso di crescita previsto dagli analisti per l'economia americana nel terzo trimestre
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