Economia

Ora la Cina rischia il crac del mattone

Evergrande buca un'altra cedola, default vicino. La lista delle società in ginocchio

Ora la Cina rischia il crac del mattone

Tre voragini in tre settimane lasciate dall'agonizzante Evergrande. A Shenzen, quartier generale del gruppo immobiliare cinese schiacciato da debiti per 300 miliardi di dollari, lo spartito non cambia: ora è saltato anche il rimborso di altri 148 milioni di interessi sull'ennesimo bond con incorporato uno sgradevole odore di default. Il redde rationem è fissato per il 23 ottobre: se non saranno onorate le due cedole per complessivi 131 milioni, già scadute il 23 e il 29 settembre, il fallimento sarà inevitabile. Evergrande resta tuttavia la punta dell'iceberg di un settore in cui la gigantesca bolla del mattone creatasi negli anni scorsi sta esplodendo. Giorno dopo giorno, si sta infatti allungando in modo sinistro la lista delle società insolventi, con un effetto domino che rischia di essere catastrofico. Almeno quattro sono sul punto di alzare bandiera bianca. Jumbo Fortune ha appena mancato il rimborso di 260 milioni; Modern Land ha chiesto agli investitori di posticipare di tre mesi il pagamento di un'obbligazione da 250 milioni di dollari in scadenza il 25 ottobre; Xinyuan Real Estate intende versare solo il 5% del capitale su un titolo a fine corsa dopodomani e vuole scambiare quel debito con obbligazioni con scadenza 2023; Sinic Holdings è messa anche peggio: non rimborserà né il valore del capitale, nè l'ultima tranche di interessi su un bond da 250 milioni con scadenza il 18 ottobre.

Segnali di resa che, ovviamente, non stanno certo passando inosservati sui mercati. Il livello d'allarme si sta alzando come una marea e la misura dei crescenti timori è data dai rendimenti delle obbligazioni cinesi con rating junk, «spazzatura», saliti di 291 punti base al 17,54%, il livello più alto in circa un decennio.

Non convince affatto il disperato tentativo di recuperare liquidità da parte di Evergrande che, su pressioni delle autorità cinesi, ha già liquidato la propria partecipazione in una banca e sta negoziando la cessione dell'unità di gestione degli immobili. Del resto, i poco meno di sette miliardi di dollari che il gruppo incasserebbe alienando entrambe le partecipazioni risolverebbero forse i problemi di cash, ma non quelli legati all'indebitamento monstre accumulato.

Gli investitori continuano a sperare in misure di salvataggio da parte di Pechino, ma per ora si vedono solo interventi tampone. Come quello deciso ad Harbin, la capitale della provincia nord-orientale dell'Heilongjiang, che offrirà fino a 100mila yuan di sussidi per l'acquisto di case ai compratori in possesso di alcuni requisiti. Ci vorrebbe ben altro per impedire il rischio di veder colare a picco il mastodonte immobiliare, che vale 62mila miliardi di dollari, contribuisce al Pil del Dragone per il 29% (negli Usa il peso è di appena il 6,2%) e rappresenta il 62% della ricchezza delle famiglie cinesi. Un eventuale crac del settore sarebbe un colpo mortale per la crescita del Paese, stimata ancora ieri dal Fondo monetario internazionale all'8% quest'anno e al 5,6% nel 2022.

Già lo scorso settembre Goldman Sachs aveva messo in guardia contro i guai del mattone, paventando la possibilità di un crollo del 30% nelle costruzioni di nuove case e un calo del 10% nel completamento delle abitazioni. Uno scenario da hard landing che sottrarrebbe alla crescita del prossimo anno almeno quattro punti percentuali, condannando la Cina alla recessione.

Con ripercussioni incalcolabili sull'intera economia globale.

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