Inutile fare paragoni con Wall Street: lì si gioca un altro campionato, dove gli steroidi del quantitative easing iniettato dalla Fed hanno garantito in buona misura l'ipertrofia dei prezzi, fiondato in alto il Dow Jones di un buon 30% e assicurato allo Standard&Poor's 500 un capital gain annuale di 3.700 miliardi di dollari. Altre cifre, altro passo, con rischio incorporato di una big bubble. Un pericolo che certo non corre la piccola Piazza Affari, sempre più catalizzatrice di imprese di medie dimensioni, sempre meno attraente per le grandi aziende, ma al tempo stesso leader in Europa per i contratti siglati sul mercato delle obbligazioni e dei titoli di Stato.
Come è andata.
Il bilancio 2013, così come da tradizione consegnato ieri da Borsa Italiana, segna probabilmente una cesura netta con il periodo della crisi nera. Se lo scorso anno i segnali di ripresa con il +8% del Ftse-Mib non erano riusciti a controbilanciare il doppio scivolone 2010-2011, da gennaio a dicembre l'indice ha invece centrato un rialzo del 16,5%. Un recupero dal peso non irrilevante in termini di capitalizzazione, salita a 438 miliardi di euro (+74 miliardi). Ciò ha permesso al mercato azionario di riacquistare un po' di peso: in rapporto al Pil, oggi Piazza Affari vale il 28%, oltre sette punti in più dello scorso anno. Questo recupero conferma come la velocità di reazione del mondo finanziario sia ben superiore a quella dell'economia reale. In Italia, infatti, mancano ancora all'appello otto punti di ricchezza evaporati in seguito alle crisi dei mutui subprime e del debito sovrano.
La mappa di Piazza Affari.
A fronte di una ripresa degli indici, il listino resta complessivamente asfittico. Insomma, servirebbe la linfa vitale di un nutrito gruppo di debuttanti, soprattutto di taglia medio-grande. «Sangue» nuovo che manca. Il risultato? Appena tre in più le società quotate rispetto al 2012, per un totale di 326. Piazza Affari ha così dovuto accontentarsi di raccogliere 2,3 miliardi da 18 operazioni di aumento di capitale (949 milioni) e da 18 Ipo (1,35 miliardi). Appare inoltre sempre più evidente la spaccatura tra il mercato Aim, protagonista di un vero boom (da 18 a 36 le quotate), e il listino principale (Mta), dove il saldo è negativo (da 296 a 290). Solo due le matricole, Moleskine e Moncler, a cui si aggiunge World Duty Free, per scissione da Autogrill. Nel complesso, le nuove ammissioni sono state 20, di cui 18 attraverso lo strumento dell'Ipo. L'anno scorso le new entry erano state appena sei. Raffaele Jerusalmi, ad di Borsa Italiana, è quindi soddisfatto: «La ripresa delle matricole rappresenta un nuovo punto di partenza importante non solo per il mercato finanziario, ma per tutta l'economia italiana. L'utilizzo del mercato dei capitali per finanziare la crescita da parte delle aziende può rappresentare un motore di sviluppo importante per il nostro Paese».
Chi vince e chi perde.
Le regine del rialzo sono tre: Yoox (+175% in un anno), portabandiera di quella luxury zone che ha fatto faville durante il 2013, Fonsai (+155%) e Mediaset (+122,6%). Il rovescio della medaglia vede Saipem in maglia nera (-47,33%), seguita da Monte Paschi (-20,7%). Unicredit (+45%) mantiene lo scettro di titolo più scambiato, con 5,5 milioni di contratti.
Viva l'Italia.
Ma la terra dei record è altrove. E precisamente nel Mot, il mercato di obbligazioni e titoli di Stato. Con 1.199 strumenti quotati, a fronte di un totale di 1.177 a fine 2012, ha registrato il suo nuovo massimo storico per controvalore scambiato: +2,2% a 328,6 miliardi di.
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